Mantica: sulla strage di Bologna bisogna accantonare i vecchi teoremi
“La Procura di Bologna sembra certamente aver fatto un salto culturale notevole, riconoscendo la natura “spontaneista” e “autonoma” dei Nar. Un salto di cui non erano stati capaci neanche personaggi certamente onesti intellettualmente come l’ex-presidente della Commissione stragi, Giovanni Pellegrino”. Anche per l’ex-senatore Alfredo Mantica, esponente di punta di An nella Bicamerale per la verità sulle stragi dalla seconda metà degli anni ’90, le motivazioni con cui è stata chiesta l’archiviazione del fascicolo aperto su input dell’Associazione familiari delle vittime del 2 agosto “costituisce una novità rilevante”.
Secondo i giudici, però, questa impostazione è comunque “coerente” con le sentenze di condanna di Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini, su cui, invece, lei ha espresso, a dir poco, notevoli dubbi.
Bisogna distinguere i piani, quello giudiziario da quello storico. Sul piano giudiziario, i pm di Bologna hanno detto che i Nar non avrebbero avuto bisogno assolutamente di chissà quali appoggi e coperture per compiere un attentato come quello di Bologna; poi, che l’abbiano commesso o meno, attiene ad altro genere di percorso processuale; sul piano storico, però, hanno disintegrato il teorema su cui, di fatto, si è basata la condanna degli imputati, dei quali è stata più volte ribadito il ruolo di manovalanza di chissà quale misteriosa centrale del terrore. Dunque, a questo punto, c’è una discrepanza notevole tra quanto si dice oggi e quanto fu sostenuto allora per giungere a quell’esito giudiziario.
Lei ha speso tanti anni nelle indagini sulle stragi: quali sono le sue convinzioni sulla teoria del doppio-Stato, quella che i pm sembrano, almeno in parte, negare?
Come le dicevo all’inizio – tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000 – anche personalità come Pellegrino e altre del mondo della sinistra, pur palesando pesanti dubbi sui processi e sulle condanne con cui si erano chiusi i processi per Bologna e gli altri episodi più gravi della “strategia della tensione”, non riuscirono mai a liberarsi dall’idea – che definirei quasi pregiudiziale -, secondo la quale dietro quei crimini c’era stata una regia unica e un disegno preciso e coerentemente perseguito nel tempo, il cui unico fine sarebbe stato quello di impedire al Pci di conquistare il governo del Paese.
Però, anche se diversamente da come sono di norma raccontati, depistaggi e coinvolgimenti di pezzi dello Stato sono stati dimostrati, in quelle trame che hanno insanguinato lo Stato.
Non lo si può e non lo si deve negare, ma appare chiaro, da una lettura attenta della carte, come l’apparato di sicurezza nazionale – in quegli anni come del resto ancora oggi – più che determinare gli eventi che accaddero, inquinò semmai le acque dopo gli avvenimenti, per mantenere un equilibrio sociale, politico e istituzionale altrimenti a rischio. In altre parole – con un metodo se vogliamo discutibile, indecente, a volte forse anche criminale -, di fronte a certi episodi, si è preferito sacrificare la verità e la verità processuale sull’altare della ragion di Stato, facendone pagare il prezzo a quanti, comunque, avevano già compiuto scelte eversive.
Può approfondire questa analisi?
In quegli anni, le forze di sicurezza del Paese controllavano tutti e tutto e sapevano tutto di tutti, conoscevano bene l’universo della politica e la galassia dei vari estremismi, ma non potevano certo reprimere ogni espressione di dissenso, data l’immensa vastità del fenomeno: tentavano di gestirla, di evitare il peggio e d’intervenire quando si oltrepassavano i limiti. Chiaramente, non sempre ci riuscirono, anche perché, sempre in quegli anni, si agitavano in Italia anche gravissime tensioni internazionali e, in questi casi, agirono spesso per dare, chiamiamole così, “interpretazioni” dei fatti accaduti che permettessero un rasserenamento della pubblica opinione.
Allora, ha ancora senso scandagliare tutti questi eventi, per far emergere finalmente la verità, o no?
Sul piano giudiziario assolutamente no. Io resto convinto della linea che assunsi in Bicamerale, quando proposi per l’Italia la “via sudafricana” della “verità in cambio del perdono”, perché credo che sia solo sul piano storico e civile che si possa e si debba fare chiarezza, depotenziando così tutta la materia di quella carica esplosiva, sul piano strumentale e politico, che ancora ha in Italia e che, peraltro, costituisce proprio l’ostacolo maggiore al raggiungimento di risultati definitivi.
In passato, alla destra politica, si è rimproverato di non aver speso sufficienti attenzione ed energie, in materia di terrorismo e strategia della tensione, di essersi rassegnata ad aspettare le sentenze e, tutt’al più, a replicare alle analisi della sinistra: se a Bologna si riaprisse la pagina giudiziaria più importante, quella della strage alla stazione, col rinvio a giudizio di Gilberto Cavallini, la destra, oggi anche alquanto disarticolata rispetto al passato, che atteggiamento dovrebbe assumere?
I partiti politici della destra non dovrebbero certamente farsi coinvolgere direttamente, perché, lo ripeto, credo che sia venuto il momento – anzi, è da tanto tempo che dovrebbe essere venuto il momento – di far uscire la politica italiana dalle nebbie del passato, anche di quello recente degli anni ’70/’80. Sul piano culturale, invece, avendo risorse sufficienti sia materiali, nella Fondazione An, che intellettuali, perché sono tante e qualificate le persone che potrebbero impegnarsi in analisi serie su questa parte della storia d’Italia, dovrebbe e potrebbe occuparsene finalmente con un atteggiamento ancor più scientifico e con progetti di ampio respiro.