Quattro anni senza Califano: ecco le canzoni che più lo ricordano (video)
Quattro anni senza il Califfo. Senza le sue provocazioni, senza il suo estro, la sua sensibilità nascosta tra le righe di un personaggio ruvido che ha vissuto rumorosamente e se n’è andato in silenzio, in punta di piedi, spegnendosi nella sua casa di Acilia, Aventino forzato dai problemi economici in cui si era rifugiato negli ultimi anni, abbandonando la sua Roma. E tra eventi e commemorazioni private, è previsto per domani un tributo live a Latina con un concerto-omaggio della band L’ombra del Califfo e del coautore di Tutto il resto è noia, una frase simbolo tatuata nella memoria collettiva, non solo dei romani.
Quattro anni fa l’addio a Franco Califano
Quella Roma con cui Califano ha avuto sempre un legame dalle radici profonde, una città che ha fatto da sfondo ai suoi successi e da set di una vita che lo ha visto protagonista della scena, ora playboy incallito, ora poeta romantico, un po’ poeta e tanto mascalzone, capace come pochi altri di raccontare in musica e canzoni i suoi vizi e le sue debolezze. Un personaggio irresistibilmente controverso, protagonista di una vita da romanzo che, tra colpi di scena e capitoli giudiziari che lo hanno visto protagonista di vicende di droga, culminate nel primo arresto nel 1970, coinvolto con Walter Chiari (poi assolto), e poi, ancora, nel 1983, nuovamente accusato di possesso di stupefacenti e in questo caso anche di armi, coinvolto a diverso titolo nella vicenda che travolse ingiustamente anche Enzo Tortora (assolto dopo anni di malagiustizia con formula piena). Lui, che dopo una vita di ingiustizie e di mancati riconoscimenti, il 14 settembre 2008, nel giorno del suo settantesimo compleanno, e in occasione del concerto a piazza Navona, tornò a dire: «Io sono liberale, anticomunista. Ho chiesto al sindaco Alemanno, mio caro amico, di poter cantare in qualche bella piazza. E lui mi ha fatto un meraviglioso regalo. Per 5 anni mi hanno impedito di cantare perché mi hanno bollato come uno di destra».
Una vita tra successo e oblio, palco e periferia
Tornare a cantare in qualche piazza di Roma: questo era il suo sogno negli ultimi anni. Una Roma, palcoscenico a scena aperta di concerti, spettacoli, e persino di una lezione alla Sapienza nel 2001, dove era stato invitato per parlare dei testi dirompenti delle sue canzoni, e anche di un tour nelle carceri del Lazio, grazie ad un’iniziativa della Regione di cui lui era molto soddisfatto. E allora, quella romanità spesso sinonimo di tracotanza bonaria. Quel suo fascino gaglioffo unito a un temperamento spericolato, nel tempo hanno accreditato di lui l’irresistibile maschera del “macho” irriverente e indomito, chiamata a nascondere un animo vulnerabile. Una sensibilità, la sua, rinnegata sotto quel panama bianco e nascosta dietro quel sigaro in bocca che dalla copertina di uno dei suoi tanti successi ostentavano spregiudicatezza da latin lover, e tradotta in tanti indimenticabili canzoni cantate da lui, o regalate a Mina, Mia Martini, Ornella Vanoni. E allora, non solo Tutto il resto è noia, ma anche Minuetto, La musica è finita, E la chiamano estate, Una ragione di più, accanto a La vacanza di fine settimana e a Io non piango, diventano il manifesto esistenziale di un autore e di un interprete a metà tra mondanità e solitudine, palco e periferia. Indecifrabile quanto genuino, capace di raccontare l’amore più alto e il fondo toccato in tante storie alla deriva. Di cantare una vita punteggiata da eccessi che, tra ricchezza e difficoltà economica, vocazione alla trasgressione e insofferenza per le convenzioni, ha alimentato il mito dello chansonnier maledetto che non si è risparmiato neppure l’esperienza del carcere, anche quella sublimata in musica grazie all’album Impronte digitali. Un irrefrenabile amore per la canzone, che non ha abdicato nemmeno alla vecchiaia e alla malattia. «Comincerò ad invecchiare cinque minuti prima di morire» disse una volta. E così è stato. Ecco le canzoni con cui ci piace ricordarlo.