50 anni fa l’addio a Totò, “Simme serie, appartenimmo ‘a morte”
Era la sera del 13 aprile 1967. Seduto in auto c’era lui, Totò. A un tratto si girò verso l’autista che lo accompagnava e con voce un po’ sofferente confessò che qualcosa non andava: «Mi sento una vera schifezza». Poi, una giornata difficile. Sempre peggio. «Mi sento male, portatemi a Napoli». Non ce la fece, alle 3 e 30 del 15 aprile morì a Roma. La sua salma venne portata nella chiesa di Sant’Eugenio in viale Belle Arti e dopo una semplice benedizione iniziò l’ultimo suo viaggio nella città natale.
L’Italia pianse Totò e… Antonio De Curtis
Pianse l’Italia, quel giorno di cinquant’anni fa. Da Nord a Sud, senza distinzioni. Pianse per la perdita di un artista vero, di grande livello, che aveva dato tanto. Ma soprattutto pianse per l’addio a un uomo che non si era mai tirato indietro e che per restare coerente, attaccato ai suoi valori e alle sue idee, aveva pagato un prezzo altissimo. Pianse la fine di Totò, l’attore, il protagonista di film che molti consideravano di cassetta e che invece hanno fatto la storia del cinema con l’apporto di altri grandi artisti come Peppino De Filippo. Ma pianse soprattutto l’altra faccia di Totò, Antonio De Curtis, il poeta, l’uomo di cultura, l’uomo della Livella. Che resta una delle pagine più belle, più profonde, della nostra letteratura. Perciò, stamme a ssenti… nun fa’ ‘o restivo, suppuorteme vicino, che te ‘mporta? Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive: nuje simmo serie… appartenimmo à morte! L’Italia pianse l’autore di “Malafemmina”, Femmena, tu si ‘a cchiù bella femmena, te voglio bene e t’odio, nun te pozzo scurdà. L’Italia pianse l’uomo, Totò, che nel 1958 fu cacciato per punizione, dalla televisione, perché durante la trasmissione Il Musichiere condotta dall’indimenticato Mario Riva, confessò di avere simpatie per Achille Lauro. La censura “democratica” lo colpì, l’Italia era anche quella. Per fortuna c’era anche l’Italia che si incarnava in Totò. E che gli voleva bene. Come gliene vuole ancora oggi.