Addio a Piero Ottone, il direttore dell’eskimo in redazione
Una delle “leggende” che circondavano la figura di Piero Ottone, morto il giorno di Pasqua all’età di 92 anni, era che amasse il giornalismo in stile anglosassone, cioè quello dei fatti separati dalle opinioni. In realtà, se si sfoglia la collezione del Corriere della Sera negli anni diretti proprio da Ottone (dal 1972 al 1977), tutto si trova, fuorché l’avvicinamento della grande stampa italiana agli standard stilistici d’oltre Manica. Il Corriere di Ottone era in realtà l’epicentro di una vasta operazione ideologica, quella che avrebbe dovuto portare la cosiddetta “borghesia illuminata” all’incontro con le “forze progressive” della sinistra, allora rappresentate dal Pci di Enrico Berlinguer. Nulla di più distante dal modello liberale e pragmatico dell’opinione moderata europea.
La fabbrica del conformismo
Il grande giornale diretto da Ottone fu in realtà una delle principali fabbriche di conformismo nell’Italia che si appresta a vivere la stagione del compromesso storico e poi del consociativismo. Una totalitaria melassa d’impronta progressista tracimava in quegli anni dalla grande stampa: le Brigate Rosse furono a lungo definite “sedicenti” , con uno sconcertante spirito di sottovalutazione del terrorismo comunista allora in piena affermazione. Quella stagione è stata ripercorsa con grande effacacia da Michele Brambilla in un fortunato pamphlet degli anni Novanta, L’eskimo in redazione.
Lo scontro tra Ottone e Montanelli
Inevitabile lo scontro tra Ottone e un grande del giornalismo italiano, Indro Montanelli, storica firma del Corriere, che si oppose con tutte le sue forze alla deriva radical chic del quotidiano di via Solferino. Fu una battaglia apparentemente persa da Montanelli, perché il grande Indro fu costretto ad andarsene nel 1973, avendo contro l’editore del Corriere, Giulia Maria Crespi, il cui salotto era uno dei santuari della borghesia che guardava a sinistra. In realtà, da quella sconfitta sarebbe nata, di lì a breve, una nuova realtà editoriale, Il Giornale, animata da un bel gruppo di prestigiose firme del Corriere che seguirono Montanelli nella sua iniziativa.
Ottone si vantò successivamente di essere stato lui a “cacciare” Montanelli. Montanelli – raccontò – non se ne andò dal Corriere sbattendo la porta, ma venne licenziato in tronco. “Ne ho parlato con Giulia Maria Crespi, che in quegli anni era insieme a Agnelli e Moratti la proprietaria del Corriere: con lei Montanelli era stato pesante, l’accusa di essere priva di buon senso e di intelligenza, e nei salotti milanesi aveva avuto nei suoi confronti parole fuori dal lecito. Ma adesso Giulia Maria mi ha detto: se tenevamo Montanelli era meglio, perché era una forza per il giornale”.
E già, peccato solo che quando, nel 1977, Montanelli fu gambizzato dai terroristi comunisti, il Corriere di Ottone evitò persino di nominarlo. “Ferito un giornalista”: questo fu il titolo della notizia.
Gli “Scritti corsari” di Pasolini
Negli anni di Ottone comparvero anche gli “Scritti corsari” di Pier Paolo Pasolini. Fu sicuramente un merito del direttore del Corriere. Ma grande parte nell’operazione la svolse Gaspare Barbiellini Amidei, vicedirettore del quotidiano milanese che aveva iniziato la sua carriera giornalistica al Secolo d’Italia. Fu lui, concretamente, a portare Pasolini al Corriere.
Ottone lasciò la direzione del giornale di via Solferino quando l’editore divenne Rizzoli. E fu una decisione sicuramente azzeccata, perché di lì a qualche anno si svelarono le oscure trame che tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta si stavano svolgendo intorno al Corriere.
Non è certo, quella dell’esperienza al Corriere, l’unica esperienza significativa di Piero Ottone, il quale approdò a Milano dopo aver diretto Il Secolo XIX di Genova. Ottone ha scritto molti libri ed è stato a lungo anche editorialista de la Repubblica. Ma il pubblico italiano lo ricorda principalmente per quei cinque, incandescenti anni a via Solferino. Che ricordiamo per dovere, Ma che certo non rimpiangiamo.