L’illusione delle Start up, più della metà falliscono entro cinque anni
Il sospetto c’era da tempo. Ma ora ci sono i dati a corrobare quell’ipotesi iniziale. Le cosiddette “start up“, termine oramai più che abusato, per indicare, molto genericamente, le piccole aziende innovative create spesso dai giovani in una logica di autoimpiego e alla ricerca di finanziamenti sul mercato, hanno una mortalità altissima: più di una impresa su due, esattamente il 55,2 per cento, infatti, chiude i battenti entro i primi 5 anni di vita. E sono sopratttutto le start up ad alzare la media.
È la Cgia di Mestre – oramai istituzionalizzata voce fuori dal coro quando si tratta di mettere all’indice i cloroformici dati ufficiali governativi – a rivelare il dato alzando il sipario su un fenomeno, quello delle start up, che sembra aver preso un po’ la mano, perfino delle grandi banche, in un’euforia collettiva dove ci si illude di riuscire a lanciare sul mercato giovani ed entusiasti imprenditori elargendogli qualche migliaio di euro. Ma i dati, appunto dicono altro. E spiegano anche perché tante imprese giovani e dinamiche falliscono – e non potrebbe essere altrimenti – nel giro di un quinquennio travolte da un mercato che non fa sconti a nessuno.
D’accordo le troppe tasse. D’accordo una burocrazia che non allenta la morsa e la cronica mancanza di liquidità. Ma c’è dell’altro: «E’ vero che molte persone, soprattutto giovani, tentano la via dell’autoimpresa senza avere alcuna esperienza e/o il know how necessario – spiega Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio Studi di Cgia – ma questa percentuale di chiusura così elevata è molto preoccupante, anche perché continua ad aumentare di anno in anno». Un trend che in dieci anni ha lasciato morti e feriti per strada.
Se nel 2004, infatti, il tasso generale di mortalità si attestava al 45,4 per cento, dieci anni dopo la soglia è salita al 55,2 per cento. Cioè quasi 10 punti percentuali in più. Quanto ai mercati di riferimento, la quota più elevata di mortalità si riscontra nelle costruzioni, con quasi il 63 per cento. Segue il settore del commercio con un 54,7 per cento, a ruota i Servizi con un 52,9%). Più contenuto degli altri, ma sempre allarmante, il dato dell’industria: 48,3 per cento.
Un’analisi della situazione dal punto geografico rivela una situazione a macchia di leopardo anche se il Centro sud conquista il palmares della maggiore mortalità delle imprese: ai due estremi ci sono, da una parte la Calabria che consegna alle statistiche il risultato peggiore, dall’altro lato ci sono le province autonome “nordiche” di Bolzano e di Trento. Ma c’è, per esempio, il dato del Lazio, il secondo peggior risultato fra tutte le Regioni italiane. Un motivo di riflessione, forse, per Zingaretti e per le sue politiche fatte di molti annunci e, evidentemente, pochi fatti. Più “virtuosa” del Lazio, addirittura meglio del Veneto, tradizionalmente vocato all’imprenditorialità, c’è la Basilicata subito dietro a Bolzano e Trento.
Oltre al tasso di mortalità, per la Cgia sono preoccupanti anche i dati rilasciati da Unioncamere sul numero di imprese attive presenti in Italia. Rispetto al 2015, le imprese artigiane presenti nel 2016 nel nostro Paese sono scese di 18.401 unità, attestandosi a quota 1.331.396. Una caduta verticale che ormai si verifica ininterrottamente dal 2009. In questi ultimi 7 anni, infatti, lo stock di imprese artigiane è diminuito di ben 134.553 unità. Per contro, le imprese non artigiane sono in aumento dal 2014 e, l’anno scorso, hanno raggiunto quota 3.814.599 con un + 20.013 rispetto al 2015, allineandosi, di fatto, con il dato del 2009.
«La crisi economica che si è abbattuta nel nostro Paese – riflette il segretario della Cgia, Renato Mason – ha sicuramente accelerato questo trend così negativo. Rispetto a qualche decennio fa, infatti, chi ha avviato un’attività economica in questi ultimi anni, spesso ha compiuto un salto nel buio. Con il passare del tempo, molti neoimprenditori hanno sperato di poter far breccia nel mercato e superare lo scotto iniziale senza particolari problemi. Purtroppo, però, molti non hanno retto l’urto e sono stati costretti ad abbassare definitivamente la saracinesca». E, fra loro, moltissime start up.