Forza e limiti del modello Le Pen. Nuova Casa Europea o nessuna?

12 Mag 2017 16:02 - di Carmelo Briguglio

Per capire bene le elezioni francesi occorre liberare la mente. Un’operazione di ecologia psicologica; sgombrare la testa da un masso che vizia il giudizio sul risultato di Marine Le Pen: la percentuale attesa non è quella conseguita. Il FN è caduto nella trappola: avversari e media hanno fatto credere che Marine avrebbe potuto vincere. O che avrebbe abbattuto il muro del 40 per cento. E il Fronte ha abboccato: si è buttato come un pesce sull’esca, ha voluto crederci. Un atto di fede: spes contra spem. E ha finito per alzare l’asticella che avrebbe dovuto superare Marine. Così il 33,9 % cento è stato presentato come deludente. La vittima più illustre è la giovane Marion che, con poco credibili motivi personali, lascia la politica. Un errore suo e del partito. Un colpo al futuro di entrambi. Aveva già i numeri per essere la delfina della leader. Senza complessi. L’accusa ai Le Pen di essere un clan è propagandistica. Le democrazie occidentali mantengono al proprio interno canali dinastici o ereditari: la famiglia Hollande-Royal in Francia ne è un esempio. I Kennedy, i Bush, i Clinton negli Usa, sono fattispecie note. Farebbero bene a convincere la ragazza a “tornare”. Riprendiamo il nostro ragionamento.

Undici milioni di voti a Marine: si può dire ancora populista? 

Cambiamo bilancia. Mettiamoci su il peso dei risultati. Sette milioni di francesi (21,73%) hanno votato al primo turno Marine Le Pen. Al ballottaggio quasi 11 milioni (33,9%). Il primo risultato supera quello dei tre partiti del centrodestra italiano messi insieme, alle ultime consultazioni certificate, le europee di tre anni fa. Al secondo turno, restiamo Oltralpe: la candidata del Front National ha raddoppiato i voti presi dal padre Jean-Marie contro Chirac nel 2002. Sette o undici, sono tanti i milioni di elettori che hanno scelto Marine come presidente. Che però si è fatta circuire dalla strategia mediatica degli avversari. Politici e non. I quali hanno fatto un’operazione di espansione della “hybris” che riposa nella psiche di ciascuno di noi. E hanno fatto sciogliere il blocco prudenziale che deve impedire sempre ai cervelli dei candidati di contare i voti sperati con i multipli e non con filtri e radici quadrate. Una personalità con robusto consolidato elettorale come “Madame Le Pen” e un cervello fine come il suo vice Philippot lo sanno bene. Eppure. Ci siamo capiti. Le legislative ci diranno se il Front National, riuscirà a stabilizzare questo risultato di grande forza e radicamento in capitale politico. E, con una compiuta  “dédiabolisation”, in discorso pubblico presentabile. Soprattutto verso gli strati della società civile ancora lontani: le classi medie, il mondo conservatore, gli elettori cattolici, pezzi di ceto intellettuale non progressista, la borghesia delle città. Inclusa Parigi, dove finora Marine non é riuscita ad entrare, neppure negli arrondissement più popolari. Ovviamente, bisogna tenere conto del sistema a due turni. La leader di FN ha annunciato una rivoluzione interna per cambiare il partito. Vedremo. Già adesso Sergio Romano pone una domanda fondamentale: “Possiamo ancora definire ‘populista’ il leader di una forza politica che conquista il 33,9% degli elettori nelle elezioni presidenziali del suo Paese ?”. L’ex ambasciatore immagina che “il Fronte Nazionale diventerà probabilmente un partito nazionalista e conservatore, non troppo diverso dalle destre di altre democrazie occidentali”. Può darsi. In questo caso si avvicinerebbe al modello rappresentato da An, oggi interpretato dal partito di Giorgia Meloni. 

Ci sono lezioni per il centrodestra e per la destra in Italia ? Secondo me sì 

La prima: una forza politica populista in un Paese europeo sviluppato non può raccogliere più consensi di quelli presi dal FN. Intendo dire, in uno degli Stati fondatori dell’Ue; in quelli di più recente adesione (Polonia, Ungheria, Austria etc) è diverso. E penso che un partito anti-Ue abbia raggiunto il suo massimo in Francia: difficilmente quel tetto potrà essere superato da “single” sovranisti. Vale anche per l’Italia. Dove il polo Lega-Fdi non supera il 20 per cento. Non è poco, ma è insufficiente per vincere. Bisogna prenderne atto. Con alcune precisazioni. Importanti. Forza Italia da sola, anche col supporto delle ingenti risorse finanziarie, mediatiche e carismatiche di Silvio Berlusconi, non farebbe di meglio del duo Salvini-Meloni. I giornali della “rive droite” e i maggiori esponenti azzurri dicono il vero: senza il centro berlusconiano il centro-destra non vince. Ma si fermano a metà del ragionamento: nemmeno Forza Italia da sola può vincere alle politiche. Anche con un grande sforzo personale del suo leader, non andrebbe oltre la percentuale della coppia populista. E allora ? Ai partiti del centro-destra conviene valorizzare la tradizione “collegiale” maturata nei governi nazionali, regionali e locali. Andare da soli si può. Ma soltanto se si è disponibili ad attrezzarsi per una lunga e faticosa marcia all’opposizione. E a una strategia di lungo periodo che abbia come orizzonte le elezioni politiche del 2023 o del 2028, non del 2018. Senza illusioni. Oggi, né il polo sovranista Lega-Fdi, né il Ppe italiano di FI, hanno la minima possibilità di battere Pd e M5S. Nessuna. Le amministrative di Roma dovrebbero averlo fatto comprendere. Soprattutto a Berlusconi che, in quel caso, commise un grave errore politico. O, peggio, consumò una ritorsione ai danni della Meloni. Fu miope e autolesionista. Acqua passata. Tutti i sondaggi dicono che il centro-destra unito oggi avrebbe alte possibilità di vincere. 

Correre da single o in “coalizione tra diversi” ? “Comunità minima europea” ed esercito integrato

E qui inserisco un secondo frammento di analisi. Fi, Lega, Fdi: ciascuno ha un proprio profilo, un programma, un elettorato. E un leader riconosciuto. Va detto subito: è bene che ciascuno mantenga e coltivi identità e cultura politica. Anche la propria leadership. E, pure se la legge elettorale suggerisse o imponesse una lista unitaria, sarebbe un errore rifare un partito unico del centrodestra, un Pdl 2.0. Esperienza che si è visto com’è andata a finire. Lista non è partito: sarebbe un’abbaglio andare oltre il rassemblement elettorale. Un’alleanza tra diversi è bene che rimanga tale. Piuttosto: sarebbe una coalizione che vale comunque vada ? O soltanto se vince ? Se non arrivasse ai numeri necessari per formare un governo ? Si scioglierebbe e ogni soggetto sarebbe libero di andare a formare esecutivi con gli ex avversari ? FI col Pd e Lega-Fdi con i grillini ? Oppure Berlusconi, Salvini e Meloni resterebbero insieme, sia nella buona come nella cattiva sorte ? Questo è il punto politico su cui bisognerebbe fare chiarezza “prima”. È il nodo sul quale la presidente di Fdi insiste: lo vorrebbe tagliare con un patto anti-inciucio. E ha ragione. Per ricreare un clima di fiducia. Altra questione, di pari importanza: se si desse vita a una coalizione tra diversi, credo sarebbe sbagliato chiedersi l’un l’altro abiure; non si può chiedere agli altri di rinunciare alle proprie idee. O pretendere di rinnegare l’appartenenza a famiglie europee differenti. È ciò che Salvini esige da Berlusconi. Il

quale non si sogna affatto di lasciare il Ppe. Su Europa e politica estera, nel centro-destra bisogna prendere atto con realismo che le posizioni di FI, da un lato, Lega dall’altro, sono divergenti. Con Giorgia Meloni centrale: più vicina a Matteo Salvini, ma non appiattita sul Carroccio. Lo sforzo deve essere allora di creare un progetto comune. Senza rigidità. Nè ideologismi. Un compromesso alto. Per costruire un programma di governo. Hegelianamente: sintesi superiore di tesi differenti, alcune volte opposte. Il polo sovranista dovrà ridurre la sua carica anti-europea radicale. E fare una sua proposta di “forma europea” alternativa. Un’architettura di nuova Unione: fugando ogni tentazione o suggestione di un ritorno tout-court ai singoli Stati nazionali. Disegnando, magari, un’Europa delle Patrie; ma uscendo dall’astrazione ed entrando in una “forma istituzionale”, in una costruzione politica non più asfissiante e burocratica. Con una moneta comune per chi la sceglie; ma con diritto a lasciare monete nazionali per chi vuole conservarle. Senza penalizzazioni. In fondo l’idea di Berlusconi della doppia moneta, al di là della sua fattibilità tecnica, esprime questa esigenza. Bisogna disegnare una “Comunità minima” europea. Che rispetto all’Ue dovrebbe fare cessioni di sovranità agli Stati; e attenuare il suo dirigismo, senza invadere più le libertà economiche con regole che occupano ogni spazio di vita individuale, sociale, produttiva. Compensando con un passo avanti comune in difesa, sicurezza, intelligence, lotta al terrorismo jiadista; un esercito integrato europeo potrebbe essere un obiettivo significativo: “di destra”, per capirci. E così anche – il che rientra nel nostro interesse nazionale – una gestione unitaria dei flussi migratori. Occorre che Lega e Fratelli d’Italia si mettano a lavorare su un’ “altra Europa”, non su “nessuna Europa”. Una nuova Casa Europea: nella quale l’Italia deve riprendere a crescere. Cornice, schede, punti programmatici. Serietà. Sfida difficile, ma necessaria su cui impegnare intellettuali, giuristi, economisti, esperti. E farne tirare fuori un progetto di spessore: fattibile e credibile. Perché non nascondersi che gli europei non hanno rinunciato all’idea di Europa. E ciò spiega il successo dei populisti “fino a un certo punto”. Compresa Marine. E la vittoria dell'”euromane” Macron, nuovo presidente della Republique. 

Terza questione: la premiership. Ha ragione la Meloni: la leadership del centrodestra sarebbe triplice. E il candidato premier non può che essere scelto con le primarie. È anche vero che i due candidati alle presidenziali francesi giunti poi al ballottaggio, ci sono arrivati senza. Ma nel centrodestra italiano come si potrebbe fare ? Berlusconi dice che accetterebbe le primarie solo se fossero regolato per legge. La quale però non è proprio alle viste. E quindi ? Forse la destra potrebbe fare una battaglia per inserire la disciplina delle primarie nella legge elettorale. Se no ? Ricorrere fino ad allora a una figura, anche indipendente, che vada bene ai tre i leader ? Farla ratificare dall’assemblea di tutti gli eletti del centro-destra ? Spetta comunque all’ex Cavaliere proporre un modo diverso dalle primarie, che non sia la sua imposizione delle mani. E poi, Fdi non si accinge a celebrare il suo Congresso ? Hai voglia a discutere. 

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