Batosta anche per il Pd non solo per il M5S. Il centrodestra non si accontenti
Questo turno di elezioni amministrative è stato tenuto in sordina dai media, e sul debordante web non era andata meglio. Adesso che i risultati ci sono, e sono significativi, come avviene spesso in Italia (dove anche il voto di altri paesi viene preso erroneamente a modello) ci si affretta a enucleare uno schema interpretativo. Balza agli occhi il fatto che tutti puntano l’indice contro i Cinquestelle, addirittura dando per scontato che il tripolarismo è finito e che è tornata in auge la vecchia contrapposizione destra-sinistra.
Cominciamo allora da qui. Sulla sconfitta del movimento di Grillo ha pesato l’immagine negativa che sindaci molto in vista, Raggi a Roma e Appendino a Torino, hanno dato di sé negli ultimi mesi e nelle ultime settimane. Un mix di inadeguatezza e di impreparazione che ha portato gli elettori a scommettere sull’usato sicuro (vedi il caso di Orlando a Palermo) o comunque a riflettere su una politica improvvisata sui social. E ha pesato non poco anche il pasticcio fatto a Genova con la Cassimatis (prima scelta e poi ributtata a mare) e a Parma con Pizzarotti. E da ultimo ha avuto la sua influenza – negativa – anche la trattativa-lampo sulla legge elettorale anch’essa rivelatasi senza esito. Ma basta tutto ciò per dire che i grillini sono del tutto liquidati? Sbaglierebbero i partiti tradizionali a non considerare ciò che di buono pure c’era agli esordi di quel movimento. Due esempi per tutti: la volontà di partecipazione e la voglia di “liste pulite”.
E veniamo al Pd. Il fatto che tutti si siano concentrati sul risultato negativo del M5S fa apparire la mezza sconfitta del partito di Renzi come una mezza vittoria. Ma non è affatto così. L’unica vittoria vera è quella di Leoluca Orlando che con Renzi e le sue strategie ha poco a che spartire e che non a caso non ha voluto il simbolo dei dem in appoggio alla sua candidatura. Negli altri centri importanti il Pd è in affanno: a Genova Crivello è sotto di cinque punti rispetto a Bucci (centrodestra). A Verona la sinistra non va al ballottaggio, a Parma neanche. A Catanzaro Abramo (centrodestra) stacca di otto punti Ciconte (centrosinistra). A Padova il candidato di centrodestra sta sopra di dieci punti. Solo all’Aquila il risultato per il centrosinistra può dirsi di “tenuta”. Un po’ poco per esultare, per parlare di buon risultato, o addirittura per dichiararsi soddisfatti, come ha fatto il coordinatore della segreteria Pd Lorenzo Guerini.
Da ultimo il centrodestra: da queste parti tira aria di rivincita, e si rinnova il mantra dell’unità come condizione imprescindibile per vincere. E in effetti è vero che i buoni risultati sono arrivati dove la coalizione è stata rimessa in piedi. E sono arrivati nonostante problemi noti, prima tra tutti la rivalità tra Berlusconi e il leader della Lega Salvini. Ma può bastare il ricorso alla parola d’ordine dell’unità del centrodestra? Forse no. Perché le amministrative sono anche competizioni dove si mettono in campo persone e facce e storie. Forse ripartendo da questo test minore ma non ininfuente, è il momento di dire che anche nel centrodestra deve finire l’era del partito-contorno, dell’uomo solo al comando, del casting, dei diktat di apparato, dello strillonaggio che rifà il verso al populismo grillino. Si riparta dalle persone e dai territori. Senza dimenticare che un 40% di elettorato si tiene comunque lontano dalle urne, e questo è un non voto di condanna per tutti.