Estate 1977, con Rino Gaetano nella musica pop risuona l’eja eja alalà
Uscirà il 30 giugno il doppio album di Gianluca Grignani “Aida Legacy Edition”. Un omaggio al grande Rino Gaetano che contiene esecuzioni live e cover (inedite e non), realizzate da Grignani, Fabrizio Moro, Briga e Tricarico. Il disco rievoca le note di Rino Gaetano in una ricorrenza importante: 40 anni dall’uscita di “Aida”, fortunato disco del cantautore calabrese, prematuramente scomparso nel 1981.
Ma chi rappresentava Aida? Fu lo stesso Rino Gaetano a fornire una traccia interpretativa in un concerto tenuto nel 1977 a San Cassiano, in provincia di Lecce: “Ultimamente, qualche mese fa, io ho visto un film molto importante, che è Novecento di Bertolucci. Questo film era un po’ la storia dell’Italia, raccontata proprio in due parti. Io ho cercato di scrivere, di portare in canzonetta, la storia dell’Italia, degli ultimi 70 anni italiani, partendo un po’ dalle guerre coloniali fino ad oggi. E allora mi sono servito, per fare questa canzone qui, di una donna, che ha vissuto, attraverso i suoi amori e i suoi umori e la sua cultura, la politica italiana. Questa donna si chiama Aida”.
Il tema della memoria, un argomento che nel 1977 era ancora una ferita aperta, si impone fin dalla prima strofa: “Lei sfogliava i suoi ricordi, le sue istantanee, i suoi tabù, le sue madonne, i suoi rosari e mille mari e alalà”. L’Italia del sogno coloniale, dunque, e il saluto dannunziano “eja eja alalà” che diverrà quello delle camicie nere. Un tema trattato con delicatezza, ma senza nostalgia, e anche senza demonizzazioni, perché Aida – spiegherà il cantautore – “rappresenta tutte quelle donne da settant’anni a questa parte, quindi la nonna, la mamma, la fidanzata, un’eventuale futura mia moglie…”.
Aida è allora l’Italia stessa, un “paese diviso”, “nero nel viso e rosso d’amore”. Gli ex fascisti vollero vedervi addirittura Edda Ciano, coi suoi “vestiti di lino e seta” e le “calze a rete”. Quella sfortunata figlia del Duce che la moda del Ventennio esaltò come modello di riferimento per lo stile, l’eleganza, la mondanità. E ancora l’evocazione del gran conflitto, le marce, le svastiche e i federali. Pagine di storia che sono comunque memoria di Aida, memoria dell’Italia. Il tutto reso come “canzonetta”, certo, ma senza asprezze ideologiche, senza condanne pregiudiziali, perché il finale della canzone si risolve in un atto di omaggio e amore: “Aida come sei bella!”. L’Italia merita di essere amata, anche nella sua storia drammatica.
Fu una svolta nella storia della musica leggera italiana, se si pensa al fatto che Francesco De Gregori, solo due anni prima, nel 1975, aveva cantato quello stesso periodo nel brano “Le storie di ieri”, inserito nell’album Rimmel, senza sottrarsi al “dovere” della demonizzazione: “E i cavalli a Salò sono morti di noia/a giocare col nero perdi sempre/Mussolini ha scritto anche poesie/i poeti che brutte creature/ ogni volta che parlano è una truffa”. La storia di ieri è utile a De Gregori per individuare anche i cattivi del presente, cioè i missini, cui allude chiaramente qualche verso dopo, recuperando anche la polemica del tempo contro Almirante “fascista in doppiopetto”: “E anche adesso è rimasta una scritta nera/sopra il muro davanti casa mia/dice che il movimento vincerà/i nuovi capi hanno facce serene/ e cravatte intonate alla camicia”.
Ci voleva lo sguardo poetico di Rino Gaetano per suscitare commozione nel guardare indietro, stemperando ogni odio. E per fare di Aida una canzone simbolo. Per parlare di ideologie e dei drammi del Novecento ispirandosi al Reggae di Bob Marley. Come sempre, un passo avanti a tutti.