Uscire dal nuovo mercantilismo della Germania, le soluzioni (e i costi) possibili

24 Lug 2017 13:22 - di Enea Franza

Una delle questioni in sospeso nei rapporti tra i vari paesi membri dell’Unione Europea è quello del surplus nella bilancia commerciale tedesca. In crescita costante dal 2000, spinto dalla forza dell’export e dall’alta propensione al risparmio di famiglie, imprese e governo, il surplus delle partite correnti tedesco, nel 2016 ha raggiunto il valore record di 266 miliardi di Euro (253 miliardi è il solo avanzo commerciale) ed è pari all’8,6% del Pil. Viceversa, la Germania è un esportatore netto di capitali, galleggiando, dal 2013, il deficit netto sopra quota 200 miliardi. Di fronte a questa situazione sono in molti a ritenere l’uscita dall’euro o l’alternativa di una doppia circolazione come un toccasana per i tanti paesi come l’Italia, che sono, invece, schiacciati dalla concorrenza tedesca.

Le variabili dell’export

A decidere gli acquisti dall’estero di beni e servizi sappiamo concorrono due fondamentali variabili. La prima è la domanda estera complessiva, la seconda, la parte che al Paese toccherà della quota della domanda estera. Tale quota di export dipende dalla posizione competitiva rispetto ai concorrenti che, in un area di cambi fissi come in quella dei paesi aderenti all’unione monetaria, dipende sostanzialmente dalla qualità dei beni prodotti (in rapporto a quello che possono offrire gli altri paesi) e dal livello dei prezzi delle esportazioni in rapporto ai prezzi degli altri paesi. Con specifico riferimento all’ Italia, nonostante l’indubbia qualità del “made in Italy”, i prezzi sono fuori mercato, per una serie di inefficienze di cui si dibatte quotidianamente sui giornali (dalla burocrazia, ai costi di finanziamento, del lavoro e dell’energia, per non parlare del carico fiscale). 

“Euro dei poveri”? No grazie

Tuttavia, la possibilità di manovrare sul tasso di cambio, in definita uscire e fare un “euro dei poveri” per i paesi del Sud da opporre a quelli germanocentrici o, semplicemente, provare un ritorno alla lira è illusoria. In effetti, occorre considerare quanto segue. L’idea che con tassi flessibili sia possibile il riaggiustamento delle bilance commerciali è stato dimostrato essere vero solo in parte, ed il sentiero peraltro è strettissimo. Infatti, nonostante cambi flessibili, che teoricamente dovrebbero portare, attraverso la svalutazione dell’”euro dei poveri”, ad una ritrovata energia dei paesi schiacciati dall’egemonia tedesca, potremmo trovarci di fronte ad un incremento delle importazioni tale da compensare il beneficio immediato della svalutazione.La questione può riassumersi nel fatto che l’eventuale incremento delle esportazioni dovuto alla svalutazione accresce il reddito disponibile che si riversa sulle importazioni nella misura della propensione del paese ad acquistare beni esteri. Ciò sta accadendo alla Gran Bretagna, che pur trovandosi già in un sistema di cambi flessibili, sperimenta come la rinegoziare dei trattati che la legano all’Unione ha come conseguenza un incremento nei costi all’importazione.

Cercare strade d’uscita 

Dunque, una politica economica efficacie nell’ipotesi di uscita dall’euro imporrebbe ai Paesi il limite alle importazioni e di “promuovere” le esportazioni, cosa che in realtà si dovrebbe fare anche a cambi fissi per ottenere una bilancia dei pagamenti attiva. Naturalmente, una politica orientata alle esportazioni ha un costo che, se non si fa molta attenzione, viene pagato con la disoccupazione e con la non utilizzazione degli impianti, con una produzione troppo bassa per il mercato interno e dunque, con un tasso di crescita modesto. Insomma, nonostante una eventuale uscita dall’euro ci si ritroverebbe in breve a far fronte alle stesse malattie di cui il nostro paese già soffre. Da questo punto di vista la posizione, riassunta brevemente in queste righe, che è, peraltro, sostenuta da molti degli economisti di matrice post-keynesiana, deve farci riflettere e può contribuire a verificare le possibili strade di uscita dal tunnel in cui l’Italia, in particolare, ma anche altri partner europei sono finiti.

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