
Br, accusato di terrorismo e prosciolto rilancia la tesi dell’esecuzione di via Fracchia
Cronaca - di Paolo Lami - 27 Agosto 2017 alle 20:24
Il vecchio e già smentito teorema di un’esecuzione del brigatista Riccardo Dura nel corso del blitz nel covo genovese delle Br in via Fracchia da parte dei carabinieri del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa il 28 marzo 1980 viene rispolverato trentasette anni dopo da un ricercatore universitario, Luigi Grasso, che a fine anni ’70 venne accusato di terrorismo e poi completamente prosciolto.
Grasso ha presentato una denuncia, rinvangando questo teorema, alla Procura della Repubblica di Genova che, come atto dovuto, ha aperto un fascicolo sulla morte Dura, uno dei membri della colonna genovese delle Brigate Rosse, una delle più feroci.
L’indagine, come anticipato dal quotidiano Il Secolo XIX, è affidata ai magistrati genovesi dell’antiterrorismo ed è nata dopo l’arrivo nei giorni scorsi dell’esposto a carico di ignoti sulla morte di Dura.
“Quello di Dura è stato un omicidio volontario, venne ucciso con un
solo colpo alla nuca“, è il teorema della denuncia presentata 37 anni dopo quell’irruzione, sulla quale ora è stato aperto un nuovo fascicolo, per il momento un atto dovuto in attesa di valutare in che modo procedere.
L’irruzione di via Fracchia nel covo genovese delle Br partì in seguito ad alcune dichiarazioni rese dal terrorista Patrizio Peci.
Il blitz portò a decapitare una delle principali basi dell’organizzazione brigatista. E si concluse con uno scontro a fuoco tra i carabinieri del generale Dalla
Chiesa e i quattro brigatisti presenti nell’appartamento al momento del blitz.
Quattro le vittime tra le quali due militanti
clandestini della colonna genovese e torinese: oltre a Dura persero la
vita anche Lorenzo Betassa, Pietro Panciarelli e la genovese Annamaria
Ludmann, proprietaria dell’alloggio.
La ricostruzione della Procura, all’epoca, parlò di un blitz finito male, con i militari che intimarono la resa, i brigatisti che finsero di arrendersi e invece spararono per
primi innescando uno scontro a fuoco nel quale rimase ferito anche un carabiniere.
Grasso, che come imputato in un procedimento collegato nei primi anni
del 2000 riuscì ad ottenere le carte processuali, è arrivato a presentare l’esposto dopo una lunga ricerca personale. E ora sostiene che la morte di Dura fu un omicidio volontario. Questo sulla base dei referti delle autopsie allegati agli atti processuali: Ludmann, Betassa e Panciarelli furono colpiti da numerosi proiettili mentre Dura morì per un solo colpo, che lo raggiunse alla testa “penetrato in
regione occipitale sinistra’, come indicato dai medici legali che effettuarono i rilievi.
Dopo il blitz e il resoconto di quanto accaduto nell‘appartamento di via Fracchia, fornito dai carabinieri, in un documento dell’epoca le stesse Br accusarono i militari di aver volontariamente trucidato i
quattro brigatisti. Il caso venne quindi archiviato nel 1984. E ora l’ex-accusato di terrorismo e poi prosciolto chiede di riaprire il caso accusando Carlo Alberto Dalla Chiesa e i suoi militari.
di Paolo Lami