Anpi agghiacciante, niente targa per la ragazzina stuprata e uccisa dai partigiani
Giuseppina Ghersi, all’indomani del 25 aprile ’45, aveva tredici anni. L’anno precedente, quando Savona era ancora territorio della Repubblica sociale italiana, solo dodici. Di famiglia moderatamente fascista – i suoi non erano iscritti al partito -, a scuola Giuseppina non nascondeva a nessuno le sue simpatie per i soldati che vedeva girare per la strade e, in particolare, per quelle ragazze con la divisa del Servizio ausiliario femminile. Atroce delitto, questa simpatia, agli occhi dei partigiani che la segnalarono – la dodicenne! – come “spia fascista” in un loro documento operativo. Finita la guerra, la brutalità dei partigiani non ebbe più limiti di contenimento e la famiglia Ghersi fu prelevata, come altre, al gran completo, per svaligiarne più comodamente la casa. Il padre di Giuseppina, però, non fu solo privato di tutti i suoi beni legittimi, ma dovette assistere, mentre lo picchiavano, allo stupro della moglie e della figlia e all’esecuzione della ragazzina. Ecco le parole con cui testimoniò su quella tragica giornata: «Ero io con lei, prima mi hanno preso a pugni e mi hanno colpito col calcio del fucile, perché volevo difendere mia figlia, poi l’anno uccisa a calci. Poi le spararono un colpo alla nuca, ma la mia bambina era morente, o forse già morta».
L’ Anpi giustifica l’esecuzione di una 13enne?
Un classico e tutt’altro che raro esempio di audacia degli eroi preferiti dalla nostra “presidenta” della Camera: la tortura e l’assassinio a freddo di una poco più che bambina… E senza la benché minima vergogna, se è vero, com’è vero, che i partigiani e i loro fans dell’Anpi di Savona, ancor oggi, difendono e giustificano tutto questo orrore. Infatti, accade ora che un consigliere del comune di Noli (cittadina del savonese), Enrico Pollero, abbia chiesto e ottenuto dall’amministrazione comunale l’affissione di una lapide che, dal prossimo 30 settembre, giorno dell’inaugurazione, ricorderà il in provincia di Savona sollevando le miserabili ire di tale Samuele Rago, presidente provinciale dell’Associazione partigiana e uomo non certo migliore delle parole che ha pronunciato: «Siamo assolutamente contrari. Giuseppina Ghersi era una fascista. Protesteremo col Comune e la prefettura». Dunque, la fede, per altro ingenua, di una bambina di dodici anni, per i “partigiani” di oggi come per quelli di ieri, è condizione sufficiente per lo stupro e l’assassinio. E, non ostante il clamore sollevato da questa presa di posizione ignobile, a tutt’ora, nel savonese come nel resto d’Italia, solo un dirigente pensionato della Cgil, Bruno Spagnoletti, si è sentito in dovere di prendere le distanze da Rago, dichiarando laconicamente: «Non riesco a capire come si possa giustificare l’esecuzione di una bambina di 13 anni». Ma è una domanda retorica, quella dello Spagnoletti, perché non si può. Non si può da un punto di vista storico e, sopra a tutto, morale. E non si potrebbe – chissà se si ascolteranno parole a proposito, magari dall’onorevole Emanuele Fiano – neppure da un punto di vista legale: lo stupro di guerra è reato previsto e punito ai sensi della “Quarta convenzione di Ginevra” dal 1949 e la violenza carnale e l’assassinio sono reati da sempre nel nostro ordinamento; quindi, le parole di Rago configurano quella “apologia di delitto” punita dal comma 3 dell’articolo 414 del Codice penale.