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La Raggi vara la norma anticronisti. Al M5S il bello della diretta non piace più

Home livello 2 - di Niccolo Silvestri - 2 Settembre 2017 - AGGIORNATO 2 Settembre 2017 alle 15:41

C’era una volta il bello della diretta, della trattativa in streaming e del primato del web su ogni altra forma di comunicazione politica. Ricordate le elezioni del 2013? Le vinsero i grillini anche per aver fatto della trasparenza una questione di fede: «Apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno», giurarono nelle piazze. E per dimostrare che facevano sul serio, all’indomani del voto, costrinsero Bersani, che con loro sognava di fare il governo, ad un incontro tra delegazioni vigilato dalla diretta streaming. L’allora leader del Pd ebbe l’infelice idea di accettare e ne uscì massacrato.

Dalla giunta Raggi modifiche al Regolamento sulla trasparenza

Da allora sono passati solo quattro anni, eppure sembra già un’altra era. E non tanto perché nel frattempo Bersani ha fondato un altro partito, quanto perché ai Cinquestelle il bello della diretta non piace più. Da quando gli elettori li hanno presi sul serio, anche loro devono arrabattarsi tra delibere, determine, rimpasti di giunta, polemiche interne e noie giudiziarie. Vuoi mettere? Un fatto è concionare stando appollaiati sui rami dell’opposizione e da lì ripetere a menadito l’elenco delle cose che non vanno e altro è far vedere che cosa si è capaci di fare. E quando, come nella caso della giunta Raggi a Roma, si è davvero capaci di tutto e quindi capaci a niente, che si fa? Semplice: si manda in soffitta la trasparenza. No, non siete su “Scherzi a parte“. Leggere, per conferma, il contenuto dei due articoli aggiuntivi (39 e 40), depositati in pieno agosto come si fa con le decisioni di cui ci si vergogna un po’, con cui l’amministrazione capitolina vuole modificare il regolamento sulla trasparenza amministrativa, limitando la possibilità di accesso agli atti alla stampa e agli amministratori comunali. Chi l’avrebbe mai detto.

Accesso agli atti più difficile anche per gli amministratori

L’articolo 39 sembra addirittura una nemesi per come è scritto. Stabilisce, infatti, che «i dirigenti chiamati all’attuazione delle diverse forme di accesso agli atti tengono in considerazione il rilievo pubblico, il potenziale uso strumentale e il danno all’immagine che le risposte dell’amministrazione possono generare attraverso la loro pubblicazione sui social network, sui blog o sulle piattaforme realizzate per la promozione e la difesa del diritto all’informazione». Chiaro no? Ora che in Campidoglio c’è la Raggi, la trasparenza non è più una religione ma una pericolosa eresia. Che è come dire che ora che è il Grillo ad essersi fatto tonno, la scatoletta non si apre più.

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2 Settembre 2017 - AGGIORNATO 2 Settembre 2017 alle 15:41