Lo stupro in campagna elettorale: dimmi quanto ti indigni e ti dirò chi voti…
Il massacro del Circeo risale al settembre di 42 anni fa. Un anniversario tristissimo. Tre ragazzi della Roma bene, Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira, sequestrarono e violentarono Rosaria Lopez, 19 anni, che fu uccisa e Donatella Colasanti, 17 anni, che si salvò fingendosi morta. I tre si baloccavano con le parole d’ordine dell’estremismo destrorso, forse si ritenevano seguaci del superomismo nicciano senza avere mai letto Nietzsche o comunque senza averlo capito. I primi due furono condannati, il terzo fuggì all’estero. Angelo Izzo fu poi manovrato come “pentito” per fornire pezze d’appoggio alle “trame nere”. Ma torniamo al delitto: quel crimine fu utilizzato, sfruttato e strumentalizzato per attribuire in generale a una categoria, i “fascisti” in senso lato (pariolini e figli della borghesia capitalista) una pulsione allo stupro e alla prevaricazione sulle donne.
Questo “dogma” entrò a far parte del verbo femminista e solo pochi coraggiosi vi si opposero. Tra questi Pier Paolo Pasolini, che disse chiaro e tondo che i borgatari non erano meno criminali ed efferati dei figli della Roma bene, travolgendo il paradigma di sinistra che metteva l’aureola al povero, al proletario che, in quanto diseredato e sfruttato, era meritevole di ogni attenzione e supporto.
Sono passati più di 40 anni ma la storia si è ripetuta con accenti parodistici per gli stupri di Rimini. Da subito l’effervescenza isterica della rete ha dato una coloritura ideologica agli stupri della banda di Butungu. Si è avuta l’impressione di due opposte fazioni pronte a fronteggiarsi: quelli che non aspettavano altro per portare al centro dell’attenzione i crimini degli immigrati e quelli che ostentavano quasi una sorta di rassegnazione perché gli stupri sono tutti uguali, a tutte le latitudini, al fine di minimizzare i contorni di crudeltà dei crimini di Rimini e nascondere sotto il tappeto dei “buoni sentimenti” la rabbia per la condotta di quattro giovinastri che neanche avevano titolo a stare in Italia. Era già accaduto del resto con il tragico Capodanno di Colonia del 1 gennaio 2016: oltre mille denunce per aggressioni sessuali a donne e ragazze da parte di stranieri che avevano programmato con il passaparola quella notte brava di umiliazioni e di soprusi. Un fatto nuovo ed inedito, anch’esso rubricato sotto la voce “maschi cattivi e stupratori” senza uno straccio di riflessioni sul modo in cui le culture d’origine di molti immigrati considerano la donna, i suoi diritti, la sua libertà.
Il caso ha voluto che a pochi giorni dai fatti sconvolgenti di Rimini (che sono tali a prescindere dalle forze politiche che li hanno commentati) vi sia stata una denuncia da parte di due ragazze americane che accusano due carabinieri di averle violentate. I due militari sono indagati. Lo stupro delle ragazze, secondo le prime informazioni, non ha avuto gli elementi di efferatezza che si sono verificati a Rimini (e che sono ormai accertati e verificati), ma non è per questo meno grave, soprattutto perché commesso da due appartenenti alle forze dell’ordine.
In attesa che si capisca meglio cosa è accaduto è vergognoso tuttavia vedere come anche questo caso di cronaca sia entrato a far parte della dialettica da campagna elettorale: lo schieramento che dinanzi ai fatti di Rimini era rimasto silente e “sotto schiaffo” (com’è possibile che i buoni migranti commettano reati?) sta sfogando tutto il suo livore sul web, immaginando già una gigantesca rete di copertura mediatica in favore dell’Arma con la complicità dei “razzisti” che avevano infierito sugli stupratori africani di Rimini. Da una lato c’è la curva del “dagli al negro” che agita le sue bandierine e dall’altro c’è la curva del “dagli al carabiniere”. In mezzo le vittime ignorate eassai poco rispettate, il cui dramma personale viene distillato in qualche slogan ad effetto per colpire l’emotività collettiva.
Quante feste dell’8 marzo passate invano per tornare indietro nel tempo: in Italia lo stupro è ancora una notizia che divide, che anziché suscitare sdegno unanime si presta alla strumentalizzazione ideologica, magari usando anche qualche verbale di interrogatorio con dettagli “piccanti” da gettare in pasto al pubblico assetato di particolari. Peggio per le vittime, peggio per le donne, peggio per tutti noi.