Manganiello, atroce strage partigiana: uccisa con lui anche ausiliaria incinta
Raccontare la vita e soprattutto la morte di Raffaele Manganiello, il suo coerente percorso da Sciarpa littoria a combattente della Repubblica Sociale Italiana, è importante per raccontare ancora una volta agli italiani cosa facevano i partigiani e come liberarono l’Italia. Manganiello fu assassinato da un gruppo partigiano che nella stessa circostanza uccise due giovani fascisti e una ausiliaria della Rsi incinta. Raffaele Manganiello nacque ad Ariano Irpino, nell’Avellinese, nel 1900. Nel 1920 si iscrisse ai Fasci di Firenze, dove si era trasferito. Due anni dopo partecipò alla Marcia su Roma, come uno dei capi del fascismo fiorentino. Manganiello, che si era intanto laureato in medicina, divenne dirigente del partito, a livello locale e poi nazionale. Nel 1932 fu nominato segretario federale a Imperia e poi a Catanzaro nel 1934, a Cosenza nel 1937 e per pochi mesi a Rodi nel 1940, dove esercitò anche la funzione di ispettore del partito per il Dodecanneso. Nel novembre del 1940 Manganiello assunse l’incarico di Presidente del Comitato Olimpico Nazionale Italiano, che mantenne fino al 25 luglio del 1943. Fu poi nominato membro del Consiglio nazionale dei Fasci e delle Corporazioni e del direttorio del partito. Dal 1930 al 1943 fu deputato del Regno. Nel gennaio 1940 fu inviato in missione ad Avellino per presenziare al cambio della guardia nella Direzione federale del partito. Si recò quindi ad Ariano Irpino e fu quella l’ultima visita della sua vita alla città natale. Dopo l’approvazione dell’ordine del giorno Grandi e la caduta del Fascismo, Manganiello fu sollevato dall’incarico e recluso presso il carcere militare di Forte Boccea a Roma. Liberato in seguito all’occupazione tedesca della Capitale, aderì alla Repubblica Sociale Italiana. Nell’ottobre del 1943, Raffaele Manganiello fu nominato direttamente da Benito Mussolini Prefetto nella città di Firenze, affidandogli il compito di annientarne il crescente movimento antifascista. Nell’estate del 1944, mentre le truppe alleate si accingevano a entrare a Firenze, Manganiello lasciò la sua città d’adozione recandosi nelle terre rimaste sotto il controllo della Repubblica di Salò. Ma i partigiani del nord lo cercavano.
Anche un’ausiliaria della Rsi incinta assassinata con Manganiello
Stabilitosi a Varese, Manganiello ottenne la nomina a Prefetto di Torino. Mentre, a bordo della sua Aprilia, stava per raggiungere la nuova destinazione, fu catturato al casello autostradale di Rondissone. Dopo l’assassinio della sua scorta, i brigadieri della Polizia repubblicana Alceo e Francesco Gabriellini e dell’Ausiliaria della Rsi Dorotea Lantieri, che incinta aveva chiesto un passaggio per Torino, il 14 settembre 1944 Manganiello fu fucilato presso Mazzè da partigiani comunisti comandati da un certo Trancia, un ragazzo poco più che ventenne ma già spietato. I corpi dei quattro, completamente denudati, furono gettati nel fiume Dora dai partigiani. La notizia dell’agguato fu diramata dalla stampa fascista nei giorni seguenti in questi termini, che ci pare opportuno riportare: “Un nuovo orrendo delitto è stato commesso da elementi venduti al nemico, i quali sui corpi di Raffaele Manganiello, di una giovane donna prossima alla maternità e di un autista, hanno riversato la loro cieca perversità e quella cieca ferocia che li riconferma quali autentici banditi operanti agli ordini degli anglo – russi – americani. Non c’è mente umana che non si rivolti a così nefande gesta, portate a termine con pretto stile bolscevico da uomini che più non sono degni di tale nome, avendo essi rinnegato ogni minimo senso di umanità, avendo essi calpestato ogni legge sociale, innalzando a proprio emblema il vessillo della rivolta, basata sull’eccidio e sulla rapina. Un giorno non lontano il mondo intero bollerà per sempre questi rinnegati col marchio della vergogna e del disonore. Raffaele Manganiello è caduto perché anche lui, come tanti altri, aveva creduto nell’immortalità della patria e, rifiutando l’onta della vergogna e dell’umiliazione che si addice solo ai traditori, non aveva esitato a nobilmente operare per la rinascita dell’Italia. A Torino egli si recava per continuare la sua intelligente fervida opera, sino a qualche mese fa spesa con grande onore e con rara competenza in Firenze, che abbandonò solo quando le prime avanguardie nemiche incominciavano a calpestare le strade di quella città, dai germanici considerata libera”. I solenni funerali furono celebrati a Milano e la salma di Raffaele Manganiello fu tumulata a Varese. Per onorarne la memoria, la Brigata Nera di Firenze, da lui stesso fondata precedentemente, ne assunse il nome.