Irnerio Bertuzzi ed Enrico Mattei, stessa morte, stesso sogno: un’Italia libera

27 Ott 2017 18:50 - di Antonio Pannullo

Nel 55° anniversario della morte del presidente dell’Eni Enrico Mattei, del suo pilota personale Irnerio Bertuzzi e del giornalista americano che viaggiava con loro, William McHale di Life, ricordiamo non solo il sogno di Mattei, quello di “fare” la benzina oltre che automobili, ma anche quello del suo pilota Irnerio Bertuzzi, già coraggiosissimo ed eroico pilota dell’Areonautica nazionale repubblicana, della Rsi, che divenne dal 1957 fino alla morte, l’uomo di cui Mattei si fidava ciecamente, lui che era stato un partigiano bianco e che aveva la scorta formata dai vecchi compagni della resistenza. I due erano diventati amici, Mattei gli aveva regalato un cane da caccia, essendo entrambi appassionati di arte venatoria. Di Enrico Mattei è stato detto e scritto tutto, con ogni mezzo: libri, articoli, film, documentari. Oggi sappiamo che aveva un sogno italiano, quella di rendere la sua patria il più possibile indipendente dalle forniture energetiche,e per farlo aveva anche aperto concretamente al nucleare, capendo che il futuro era quello. Sappiamo anche, oggi, che Mattei, Bertuzzi e McHale furono assassinati e che quello di Bascapè non fu un “incidente” di volo. Oltre al fatto che Bertuzzi era espertissimo e attentissimo, ci sono le testimonianze di persone che hanno visto l’aereo esplodere e poi precipitare, malgrado il fatto che alcune di queste testimonianze furono prontamente ritrattate. “Gli obiettivi di Mattei in Italia ed all’estero dovrebbero destare preoccupazioni. Mattei rappresenta una minaccia per gli obiettivi della politica che gli Stati Uniti intendeono perseguire in Italia”. Così si legge in un rapporto del Dipartimento di Stato americano datato 3 settembre 1957. Il 1957 è l’anno in cui l’Eni di Enrico Mattei stringe accordi che rimarranno alla storia con i governi dell’Egitto e dell’Iran. Ed è proprio da quell’anno che la politica dell’ente energetico italiano si manifesta in tutta la sua carica dirompente per gli interessi petroliferi anglo-americani nel Mediterraneo (vedi il libro Mattei Obiettivo Egitto- L’Eni, Il Cairo, le Sette Sorelle – Armando Editore). Egitto, Iran, ma non solo: Mattei stava per chiudere l’accordo anche con l’Algeria, cosa che ha dato la stura a ipotesi improbabili come la presenza dell’Oas nel concepimento dell’attentato. Mattei infatti si era pronunciato per l’indipendenza dell’Algeria, cosa che aveva disturbato la Francia e le sue potenti compagnie petrolifere. Ma anche gli inglesi furono danneggiati da Mattei: il presidente dell’Eni si era infatti adoperato per far approvare in Iraq arabo una legge, la 80, che estrometteva le aziende petrolifere inglesi dal 90% del territorio iracheno. Operazione però vanificata da un golpe militare, sostenuto dagli angloamericani, che sovvertì il regime di Qassem e, come prima misura, cancellò proprio quel provvedimento. Il problema cruciale era il sogno di Mattei relativo alla la sovranità energetica dell’Italia. In un momento in cui si riparla di sovranità.

Irnerio Bertuzzi era un uomo senza paura

Irnerio Bertuzzi era uno che non aveva paura. Era stato un asso dell’Aviazione nazionale repubblicana, faceva parte di quegli eroi che difesero le popolazioni italiane dai temibili bombardamenti a tappeto degli anglo-americani. I piloti della Repubblica Sociale Italiana si alzavano spesso in volo in poche unità contro le soverchianti formazioni alleate nel tentativo di difendere il suolo patrio. Bertuzzi era anche il suo caposcorta. Sì, perché Mattei, che sfidò le Sette Sorelle e il capitalismo mondiale per rendere autonoma l’Italia, di scorta aveva davvero bisogno. E la sua scorta era tutta formata da ex partigiani bianchi, formazioni che Mattei aveva comandato durante la guerra. Poi era andato con la Democrazia Cristiana, perché per realizzare il suo sogno doveva stare con chi aveva potere, ma tra la politica e l’azienda, aveva scelto quest’ultima senza esitazioni. Bertuzzi invece veniva dalla Repubblica Sociale, cui aveva aderito convintamente, ma tra i due era sorta una immediata e reciproca simpatia, che negli anni si tramutò in profonda stima. Mattei non faceva niente senza Bertuzzi. Andavano a caccia e a pesca insieme, nel laghetto privato di Mattei, vicino Brunico. Ma soprattutto si fidava ciecamente dell’asso della Rsi, tanto che in aereo dormiva serenamente anche quando c’erano turbolenze. E quella sera maledetta c’era addirittura un temporale sulla Lombardia, ma chi conosceva Bertuzzi sapeva che non poteva impensierirlo. Lui, che aveva guadagnato due medaglie d’argento e una di bronzo al Valor militare, due Croci di Guerra tedesche, oltre a quattro citazioni sui bollettini di guerra. E quando si disse, appena quattro mesi dopo la tragedia e dopo un’inchiesta affrettata, che l’incidente fu dovuto a un errore del pilota, chi conosceva bene Bertuzzi non ne fu troppo convinto. Ma il tempo è galantuomo, e nel 2006 si venne a sapere che nell’abitacolo c’erano cento grammi di Comp-B, un esplosivo che causò la tragedia. C’è anche un’altra testimonianza che corrobora la tesi dell’attentato, quella di un controllore di volo, mai ascoltato dagli inquirenti, che fu l’ultimo a parlare con Bertuzzi. Secondo lui se si fosse trattato di un guasto dovuto al maltempo e meccanico, il pilota avrebbe certo chiesto soccorso o lanciato il Mayday. Se non lo fece, fu perché ci fu un’improvvisa esplosione in cabina. Bertuzzi era nato a Rimini nel 1919. Durante la Seconda Guerra Mondiale pilotava gli aerosiluranti nella Regia Aeronautica. Dopo l’8 settembre 1943, rispose al Bando del Colonnello Botto (il famoso “Gamba di Ferro”), e si unisce alla Anr. Dopo qualche mese nacque il infatti il Gruppo Autonomo Aerosiluranti, intitolato a Buscaglia (che si credeva caduto in azione a Bougie, il 12 novembre 1942). Il tenente Bertuzzi è al comando di Carlo Faggioni, e ha l’onore di poter guidare una delle tre Squadriglie che formano il Gruppo (le altre due sono comandate dai capitani Chinca e Valerio). Il Gruppo giura fedeltà alla Repubblica Sociale il giorno 8 febbraio ’44, e riceve la Bandiera di Guerra (che era quella del 36° Stormo). Dopo numerose azioni e molte perdite, il Gruppo, con i ranghi nuovamente al completo, e il nuovo comandate capitano Marino Marini,  si preparò all’attacco alla Rada di Gibilterra. L’azione fu pianificata con molta cura. Il primo a raggiungere Gibilterra fu proprio Bertuzzi, seguito a breve da tutti gli altri. L’attacco fu rapido e ben otto siluri andarono a segno, mentre le difese costiere furono prese di sorpresa. Nessun danno fu causato alla formazione attaccante, e la missione fu un successo. Dopo la guerra, ovviamente Bertuzzi fu radiato dai ranghi della nuova Aeronautica Militare perché aveva militato nella Anr, ma riuscì a trovare lavoro nel 1949, presso l’Alitalia. Con la compagnia di bandiera volerà soprattutto in Sud America, ai comandi di un DC-6. A quanto pare, nel 1957 Bertuzzi conobbe Enrico Mattei, del quale divenne amico fedelissimo, pilota personale e comandante della flotta aziendale. Mattei stimava le doti aviatorie e umane di Bertuzzi, e rispondendo a qualche suo amico partigiano che gli chiedeva come mai si fidasse tanto di un “repubblichino”, lui rispondeva: “Con lui si vola sicuri, perché Dio non può avercela contemporaneamente con un fascista e un partigiano!”. Ma qualcun altro ce l’aveva sicuramente con loro, con loro che sognavano, anche se in modo diverso, un’Italia libera. Probabilmente chi ha fatto assassinare Mattei, Bertuzzi e il giornalista americano, oggi è morto, ma almeno sappiamo che non fu colpa di Bertuzzi se l’aereo precipitò nella tempesta. Lui sapeva qual era la direzione giusta. Come Mattei.

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