La cannabis non è aria fresca: spieghiamolo ai nostri giovani
Tutti sanno che è l’età compresa tra i 14 e i 19 anni che è la fase calda dell’adolescenza in cui viene progettata la vita sociale di una persona. Una fase dominata dalla cosiddetta “tempesta ormonale” dal punto di vista biologico, dalla crescita e la trasformazione fisica del corpo del giovane, dallo sviluppo psicologico della persona che attraverso tentativi diversificati di “svincolo” si ribella ai genitori, alla dipendenza dalla famiglia e alle sue consuetudini, e cerca di conquistare la sua autonomia, cioè diventare adulto ed autorerefente.
Una fase delicatissima in cui siamo passati tutti, in cui si cambiano gusti, atteggiamenti, comportamenti, in cui si stabiliscono i riferimenti e le relazioni significative che a volte saranno effimere e dureranno pochissimo, a volte tutta la vita. Questo è sempre stato il quadro di questo periodo della vita dei giovani, che però oggi si è profondamente trasformato.
Oggi si è inserito un nuovo attore, che è la diffusione ubiquitaria delle sostanze cosiddette di abuso. Le nuove adolescenze fanno i conti soprattutto con la cannabis, ma anche l’alcool ed altre sostanze di abuso, che nel frattempo hanno trovato una sorta di loro legitimmazione e tolleranza nelle nuove generazioni, fino al punto di pensare da parte di alcuni ad una legalizzazione controllata, non solo per cure mediche.
Molta cultura, sociologia e psicologia fino all’inizio degli anni ’90 presentarono la cannabis come una “droga leggera”, destinata a scopi ricreativi e sociali di per sè priva di effetti negativi, se non addirittura veicolo di atteggiamenti positivi come sentimenti di fratellanza e di pace. Visione irrealistica contrastata dalle statistiche criminali internazionali che dimostrano che la cannabis è la droga maggiormente associata ad azioni aggressive del tutto coerenti con le ideazioni paranoidi indotte dal suo principio attivo, il THC ( Tims F.M., 1997), talvolta inducendo vere e proprie patologie psichiatriche croniche quali le psicosi. Dal punto di vista neurobiologico soprattutto la cannabis interferisce sul cervello frontale, che è la parte più nobile della nostra struttura mentale dove risiedono tutti i meccanismi di controllo emotivo e di gestione dei comportamenti razionali. In età infantile la corteccia frontale è di pochi millimetri, e diventerà spessa e quindi “potente” successivamente, al termine dell’adolescenza. Il che significa che l’immissione del principio attivo in quell’area compromette la costruzione del successivo controllo delle condotte.
Non da meno, l’attività di questa sostanza in altre aree più profonde del cervello che controllano la gratificazione e l’aggressività. Quali sono gli effetti diretti più, o meno radicati a secondo della qualità della “canna” ( cioè se contiene più o meno THC) e della quantità assunta? È evidente che di per sé una sola “canna” non compromette quasi nulla, mentre l’uso delle “canne” nel tempo fanno un disastro. Cosa succede fumando?: Si alterano le emozioni, che non sono più le stesse, la labilità dell’umore è repentina, si passa dall’essere depressi a star sopra le righe, prima il rilassamento è estremo e poi l’impulsività va a mille, l’irrascibilità e l’intolleranza alla frustazione diventa la caratteristica quotidiana dei comportamenti, compare la cosiddetta “sindrome amotivazionale” cioè la voglia di non far niente, l’inerzia esistenziale, l’estrema svogliatezza nello studio, nel lavoro, nel perseguire degli obiettivi, il rendimento scolastico cala drammaticamente, la partecipazione ad attività scolastiche, sociali è rarefatta, a volte del tutto abbandonata, fino a veri e propri comportamenti anti-sociali.
Anche le relazioni affettive subiscono un dramamtico rallentamento e disinteresse, sia quelli verso i familiari che verso amici e partner. Molteplici ricerche hanno dimostrato come una precoce costante assunzione di cannabis produca un’esperienza scolastica di bassa qualità e questa a sua volta sviluppa frustrazione ed emarginazione, rafforzando ulteriormente il ricorso alla cannabis come gratificazione compensatoria alla mancata affermazione individuale e sociale ( Lynskey M.T., 2003). A latere perdita dell’attenzione, della memoria, con cattivo rendimento, le assenze e gli abbandoni della scuola.
Ma oltre alla scuola, che pur è un aspetto importantissimo, si riducono nettamente le capacità cognitive, cioè la capacità di ragionamento, di concentrazione, di immagazzinamento e riestrazione delle informazioni necessarie a pensare. L’educazione si realizza nell’identificare degli obiettivi e poi perseguirli (Simone Weil), ma l’attività neurochimica della cannabis sulla mente umana indebolisce queste funzioni fino a bloccare l’evoluzione psichica della persona adolescente e la sua trasformazione corretta in adulto.
Le ricerche hanno stabilito che ben il 67% dei tossicomani hanno costruito il loro percorso esistenziale nell’assunzione di sostanze “cosiddette leggere” tra i 12 e i 17 anni, cioè in più dei due terzi dei casi. È lì la vera prevenzione, il contrasto a queste condotte devianti che compromettono l’intera esistenza di tante persone. Mi disse tempo fa con amarezza un anziano avvocato che aveva perso la figlia 25 enne per l’uso massiccio e promiscuo di sostanze: «La mia generazione non ha conosciuto direttamente la guerra, ma ci rendemmo conto che a causa del conflitto mondiale avevamo perso una fascia importante di giovani, tra morti, invalidi, esistenze spezzate e famiglie distrutte. A distanza di 70 anni da allora stiamo perdendo una parte significativa delle nuove generazioni, spazzate via, se non quando accade fisicamente, ma esistenzialmente,e socialmente dalla vita civile. Una perdita incommensurabile che non può essere tollerata».
Per contrastare tutto questo le famiglie devono essere molto presenti nella vita scolastica dei figli, mantenendo il contatto con gli insegnanti sulle variazioni spesso inattese ed inspiegabili sul comportamento e del rendimento dei ragazzi; essere personalmente vicino ai figli con consigli per affrontare l’ansia e lo stress che compaiono nel percorso di crescita degli studenti; informare i figli sui rischi fisici e psichici e sul fallimento scolastico in cui si incorre facendo uso di “canne”; progettare il dopo scuola ed il tempo libero, facendoli partecipare ad attività stimolanti e costruttive, a partire dallo sport.
Comunicare ai figli la propria totale disapprovazione rispetto all’uso di sostanze e comportamenti inadeguati con atteggiamento deciso e non tollerante. Tra quessti l’avvio di una sorta di “economia giovanile” basata sull’acquisto e la vendita tra i conoscenti di modeste quantità di “fumo” per le piccole esigenze di spese personali, l’avvio quindi di “mini” condotte delittuose e criminali. La statistica ci dice che genitori che assumono atteggiamenti decisi determinano un rischio ai ragazzi di cadere nell’uso di sostanze dell’80% inferiore agli altri. Al contrario i genitori che si comportano in modo ambiguo, coperto e contradditorio aumentano il rischio che i figli si indirizzino verso compagni che fanno ricorso alla cannabis (Kosterman R., 2010). Occorre comunicare e dimostrare che la droga è il contario del successo, della forza e della popolarità, anzi nasconde l’avanzare di comportamenti, disturbi, situazioni di progressive emarginazioni e solitudini destinate a minare la vita dell’individuo.
Occorre mobilitare riferimenti e comportamenti positivi, capaci di essere imitabili, consentendo ai giovani di identificare obiettivi personali e di gruppo. Dal punto di vista delle neuroscienze si tratta di stimolare le zoni cerebrali deputate alla ricerca e alla valorizzazione di “idee nuove”, cognitive e simboliche, coerenti con modelli socialmente proposti, confermando il valore identitario dell’appartenenza alla propria famiglia, alla propria scuola e alla propria comunità, di animare con tranquillità e sicurezza la ricerca del nuovo che è compito di ogni generazione.