Una discussione da fare: c’è spazio per un federalismo di destra?
C’è spazio per un “federalismo di destra”? La domanda è d’obbligo dopo il risultato del referendum lombardo-veneto. A meno che non si voglia lasciare alla Lega Nord l’esclusiva di un tema che, dati alla mano, è all’ordine del giorno non solo delle regioni chiamate al voto di domenica, ma già – con un effetto assorbente – dell’Emilia Romagna, della Liguria e di larghe aree del Centro Italia, non è velleitario proporre da destra una “presa di coscienza” in continuità con le proprie tradizioni culturali e politiche.
Esistono intanto delle ragioni di fondo, che legittimano una lettura “da destra” del federalismo, visto come un momento essenziale per una gestione attenta e parsimoniosa delle risorse pubbliche; per una reale ottimizzazione dei servizi nell’amministrazione; per ricollocare alcune competenze in termini esclusivi. Al fondo l’etica di uno Stato non invasivo, ma realmente inclusivo.
Più in generale bisogna ricordare che il federalismo è sempre stato considerato – su questi crinali culturali e politici – parte integrante di una più vasta riforma della Costituzione, secondo un chiaro indirizzo presidenzialista che, nel momento in cui emerge la volontà di decentrare poteri e competenze, si ponga quale elemento equilibratore e garante dell’unità nazionale.
Ciò che bisogna poi riconoscere – dal nostro punto di vista – è che il tema del federalismo fiscale oggi diventa anche un importante elemento di riflessione e di confronto sullo Stato sociale, sui suoi costi e sulle sue inefficienze, sulla sua oggettiva difficoltà a rispondere ai bisogni reali del cittadino e delle famiglie.
E’ una grande sfida di libertà ed è anche il segno di un autentico federalismo che riconosca ai cittadini, attraverso l’associazionismo ed il volontariato, il diritto-dovere di vedere soddisfatte le proprie domande di servizi e di solidarietà.
Di fronte al rischio di una nuova burocrazia “federale”, la sussidiarietà orizzontale rappresenta un essenziale strumento di riequilibrio e di salvaguardia, in settori cruciali quali la scuola, la sanità, l’assistenza sociale.
Si tratta insomma di trasformare una domanda emergente in una bandiera politica e sociale chiara e comprensibile per tutti ed in un essenziale strumento di partecipazione e di costruzione del consenso.
Come scriveva, più di settanta anni fa, sul tema del regionalismo, Gioacchino Volpe, grande storico di scuola nazionale “qualsiasi rimaneggiamento istituzionale è utile solo in quanto abbia dietro di sé una più salda trama di forze sociali, più alta educazione politica di collettività e di gruppi dirigenti, senso più robusto dell’interesse generale, maggiore voglia di lavorare e disposizione o rassegnazione a confermare il proprio tenore di vita a certe condizioni generali dell’economia nazionale e internazionale”.
Per dare concretezza all’iniziativa federalista occorre allora trasformarla in un’occasione di mobilitazione politica e sociale, espressione – per dirla con Volpe – di una più salda trama di forze sociali e di un senso più robusto dell’interesse nazionale evitando le facili contrapposizioni tra Settentrione e Meridione.
Il richiamo ad una gestione attenta e parsimoniosa delle risorse pubbliche, all’interno di una più ampia visione del riformismo costituzionale, è un fattore essenziale per fare sì che la nuova fase federalista possa essere non solo “fiscale” ma anche partecipativa e solidale e dunque autenticamente “nazionale”. Con una generale assunzione di responsabilità da parte dell’intero Paese, non solo di qualche, pur significativa, porzione.