L’inefficienza della giustizia ci costa 1 punto del Pil: è ora di rimediare

22 Nov 2017 13:32 - di Enea Franza

Il problema del peso dell’inefficienza della giustizia civile sulla crescita dell’economia italiana va riproposto con forza in ogni sede istituzionale. Gli indici economici mostrano, infatti, che l’Italia arranca nell’agganciare la ripresa economica dei partner europei e, un utile (quanto necessario) contributo deve arrivare sul fronte della macchina amministrativa della giustizia.

I dati dimostrano come ci sia molto da fare. Le cause pendenti relative a fallimentare, contenzioso, lavoro, famiglia e volontaria giurisdizione sono al 31.12.2016 oltre 3,8 milioni (di cui 570.208 relativi ad esecuzioni fallimentari). Inoltre, sono necessari circa 1.600 giorni (4,3 anni) per una sentenza definitiva (www.giustizia.it). Il governatore della Banca d’Italia nelle sue “Considerazioni finali”(www.bancaditalia.it) ha attribuito alla lunghezza dei processi civili la perdita di oltre un punto di Pil per la nostra economia. Uno studio del Cer-Eures “Giustizia civile, imprese e territori”, dell’ottobre del 2017, presentato da Confesercenti ha calcolato che questa Giustizia “lumaca” fa perdere all’Italia circa 40 miliardi di euro penalizzando le imprese in termini di competitività. In termini generali, la lentezza dei processi e il malfunzionamento dei tribunali costano all’Italia circa 40 miliardi di euro, cifra che corrisponde a 2,5 punti del Pil.

Le analisi ricordate evidenziano come l’Italia segna il passo rispetto agli altri paesi avanzati sotto diversi aspetti: dal punto di vista dei tempi, come dimostrano le analisi della durata media in giorni dei processi civili legati ad inadempimento contrattuale (peraltro gli indicatori di efficienza – capacità di smaltimento dell’arretrato e durata media dei processi – segnano grandi differenze tra i Tribunali della Penisola, con i migliori generalmente posti al Nord ed i peggiori al Sud); in quello dei costi per l’assistenza legale legati al procedimento (in proporzione al valore del contendere) e di accesso alla giustizia civile nonché circa il costo (sempre storicamente più alto) per il recupero di una garanzia (quasi un terzo del bene); per quanto riguarda la questione delle differenti pronunce tra diversi Tribunali per fattispecie simili.

I commenti pubblici sulla stampa e nel Parlamento non sembrano tener conto della questione e dibattono invece sul fatto se sia vero o meno che i tempi biblici dei nostri processi civili giocano un ruolo determinante in questa preoccupante performance o se sia vero che le aziende non crescono e non innovano per via di un problema che nella coscienza comune sembra interessare più il vivere civile che le scelte d’impresa. Le domande, tuttavia, trovano risposta solida nei frequenti report della Banca Mondiale, ed evidenziano che una giustizia lenta rende più difficoltoso ottenere il credito bancario e deprime il livello degli investimenti .

In particolare, quanto alle difficoltà per le banche di erogare prestito a causa di un sistema legale inadeguato, la ragione va ricercata nel fatto che le banche tradizionalmente hanno temuto di dover spendere troppo e attendere troppo a lungo prima di poter pignorare le garanzie, in caso di default; dunque le banche tendono a essere restie nel prestare ed erogare alle imprese gli investimenti necessari a farle crescere. Oggi il problema si palesa in tutta evidenza, se si considera la questione dei crediti deteriorati nella pancia di molte grandi e piccole banche italiane il cui basso valore è imputabile anche al tempo di smaltimento dei crediti, che ne abbassa di molto il valore di carico.

Ma oltre il problemi citati ci sono quelli distorsivi indotti nel sistema. Infatti, il sistema economico e le imprese “hanno reagito a questa profonda inefficienza, tutta italiana, attraverso l’alterazione di comportamenti, scelte, strutture aziendali volti a minimizzare il rischio di incorrere in giudizio”, considerando tra l’altro che il processo civile non interessa soltanto il “funerale” di un contratto, ma anche il modo in cui è inizialmente concepito: una giustizia inefficiente compromette il potere di minaccia necessario alla regolarità delle transazioni e induce le imprese a preferire partner commerciali che offrono prodotti a prezzi più elevati, contro maggiori garanzie di adempimento.

Gli effetti sul sistema economico sono vari, ma sinteticamente si possono riassumere nella: 1) la riduzione della natalità delle imprese; 2) in un generale rigido sistema di fedeltà di partnership nei rapporti commerciali, a scapito di una migliore concorrenzialità sul prezzo dei beni e servizi; 3) nel prevalere di forme o di aggregazioni d’impresa – quali le imprese familiari o i distretti industriali – in cui i contratti sono resi sicuri da forme di sanzione alternative alla giustizia civile. Poiché le scelte non sono soltanto orientate da criteri di efficienza economica, ma anche dalla necessità di evitare le conseguenze di una disfunzione del sistema, il risultato complessivo è quello di una perdita di competitività del sistema Italia.

Esistono soluzioni? A nostro modo di vedere non sono colpevoli, evidentemente, gli avvocati, chiamati a utilizzare i mezzi previsti dall’ordinamento per tutelare i propri clienti o i magistrati.

La radice del problema e la sua soluzione dovrebbero essere ricercati nel complesso degli incentivi a condotte distorte attualmente prodotti dall’insieme delle regole che ruotano intorno al processo e, dunque, in norme che adeguatamente governino gli interessi contrapposti indirizzandoli verso comportamenti virtuosi.

Le vie da percorrere dipendono, in primo luogo, da una scelta fondamentale: se si vuole o meno mantenere l’ampio livello di garanzie che attualmente il nostro sistema offre a chi va in giudizio o se, viceversa, siamo disposti a ridurle. La riduzione delle garanzie dovrebbe necessariamente passare per i magistrati su cui incidere con incentivi, policy e così via, trasformandoli di fatto in domini esclusivi del processo. Se, viceversa, si volesse conservare il sistema di garanzie, allora gli avvocati sarebbero la chiave di volta su cui operare.

Considerato che loro hanno “gli strumenti più efficaci” per filtrare le richieste delle parti e far sì che delle garanzie si faccia uso e non abuso, uno degli strumenti praticabili è quello della formula di compenso a forfait, certamente il modo più neutro ed efficace (dal punto di vista dell’economista) di premiare i comportamenti che vanno nella direzione giusta.

Sta di fatto che, oggi, se un avvocato usa in modo misurato le garanzie offerte al cliente, alleggerisce il fascicolo e porta a casa una rapida vittoria, viene pagato di meno e lo stesso accade se raggiunge una rapida transazione, mentre “allungare” il processo può permettere un compenso maggiore. Anche qui si può prendere a prestito l’esperienza di altri paesi come il caso della Germania, ma anche da quella parte dei processi italiani del lavoro in cui l’assistenza legale è offerta dal sindacato, che, per prassi, ha accordi con l’assistito di tipo forfettario. Per altro verso, per rendere più efficiente il rapporto tra giustizia ed imprese, la Confesercenti ha proposto di lavorare su due fronti: per snellire i procedimenti, sarebbe utile separare i giudici che si occupano di contenzioso giuslavoristico da quelli, invece, dedicati al contenzioso previdenziale mentre, per limitare gli abusi dei contratti pirata, sarebbe necessario coinvolgere il Cnel e l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con il primo destinato ad avere un potere “certificatorio” sulla rappresentatività delle organizzazioni sindacali e datoriali, mentre il secondo quello di sanzionare i soggetti che non applicano i Ccnl sottoscritti dalle organizzazioni più rappresentative.

 

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  • Giuseppe Castronovo 4 Febbraio 2018

    TRENTATRE ANNI PER FAR RISCUOTERE UN CREDITO NON BASTANO ALLA GIUSTIZIA ITALIANA. CI PENSA LA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA , MA NEL FRATTEMPO IL CREDITORE PASSA A MIGLIOR VITA

    Totò: è proprio da leggere!
    Marco: che cosa?
    Totò: questa notizia.
    Ludovico: cosa dice?
    Totò: l’imprenditore Aldo Cipolletta di Recanati, vince la causa e gli viene riconosciuto il credito dallo steso vantato per una somma di quasi 130.000 euro.
    Ludovico: dove sta la notizia?
    Totò: tre momenti di riflessione amici miei:
    I°- che sono trascorsi 33 anni da quando ( eravamo nel 1985) il Cipolletta chiese, a termini di legge, il pagamento del credito vantato nei confronti di una Cooperativa edilizia;
    II° – che l’importo, allora a 300 milioni circa, rappresentò una triste vicenda sul piano politico/economico e sociale della città che diede i natali al poeta Giacomo Leopardi;
    III° – che il suo diritto è stato riconosciuto quando il Cipolletta, all’età di 89 anni, è già passato a miglior vita.
    Ludovico: ritengo che anche alla luce di fatti come questo la Classe politica tutta e la Magistratura italiana dovrebbero chiedersi se han fatto tutto quanto era nelle loro possibilità. Se per un credito maturato a 60 anni devo aspettare, in caso di controversie, 30 anni per aver riconosciuto il mio diritto sicuramente c’è qualcosa che non va.
    Giacomo: lentezze giudiziarie e caos legislativo che provocano fallimenti di aziende, licenziamenti di operai, banche impossibilitate a recuperare i loro crediti e in definitiva un’economia da quarto mondo.
    Questa, amici miei, è l’Italia del P. I. L. che non cresce! Questo è il triste risultato di un sistema che non valuta il lavoro del potere legislativo e il lavoro dell’ordine giudiziario anche secondo parametri di analisi economica.
    Totò: Prof. Vezio ci dica la sua.
    Vezio: grazie amici. Qualche riflessione.
    Mi sia innanzi tutto consentito chiamarvi a riflettere sul fatto che la soluzione della “vicenda Cipolletta” non è merito dei giudici italiani, ma della Corte Europea dei Diritti dell’uomo (CEDU) .
    Per i giudici italiani, infatti, Il nostro Ordinamento giuridico, nonostante la presenza di oltre 150.000 leggi, non prevede una norma, un articolo, un comma – chiamatelo come volete voi – che permetta loro di riconoscere al Cipolletta la violazione di un suo diritto, tutelato dalla legge, da parte della Cooperativa edilizia.
    Ed è stato così che la Corte Europea dei Diritti dell’uomo ha per l’ennesima volta condannato l’Italia!
    Non parliamo poi dell’art. 111 della Costituzione, nel testo novellato dalla legge costituzionale n.2/1999, dove leggiamo che al cittadino deve essere garantita la “ragionevole durata” del processo. Risparmiatemi ogni commento in merito. Ecco perché langue la nostra economia: le aziende molto spesso sono costrette a chiudere i loro battenti e a licenziare i loro collaboratori in attesa che ci sia un giudice in grado di trovare tra le 150.000 leggi il comma più idoneo a risolvere il caso sottopostogli. Altrimenti detto: un giudice in grado di trovare il classico “ago nel pagliaio”.
    Amici miei pensate un po’ cosa possa significare nella vita di ognuno di noi un arco di tempo lungo 30anni! Altro che “ragionevole durata”, qui possiamo parlare di “lucida follia”.
    Scusatemi se mi dilungo più del solito ricordandovi il pensiero del saggio ceco JAN SOBOTKA:
    “E’ dimostrato che si può sopravvivere 3 giorni senza avere acqua, 2 mesi senza ricevere cibo e tutta la vita senza ottenere giustizia”.
    (Dai Dialoghi svolti al Circolo della Concordia)
    gcastronovo.blogspot.it