Un’altra assurdità: le dichiarazioni d’antifascismo per avere le piazze
Si moltiplicano, a livello di amministrazioni locali, le deliberazioni finalizzate a obbligare persone e associazioni, qualora richiedano la concessione d’uso di uno spazio pubblico, a sottoscrivere una sorta di “dichiarazione di antifascismo”. Comuni della Toscana, dell’Emilia-Romagna e della Lombardia hanno già approvato documenti del genere, con enunciazioni differenti, ma sostanzialmente analoghe, e altri ne discuteranno a breve. Anche il Movimento 5 Stelle sembra allinearsi a questa grottesca iniziativa del Pd. Al di là del giudizio politico che si può dare di queste delibere, ne deve essere sottolineato – e contestato davanti ai competenti Tar – l’assoluta illegittimità amministrativa e non tanto per l’evidente intento discriminatorio e di violazione dei diritti costituzionali di libertà di pensiero e di espressione, quanto per la manifesta impossibilità di esercitare una oggettiva e imparziale valutazione del documento richiesto da parte proprio di chi lo richiede. Se una persona o un’associazione, per ottenere l’uso di uno spazio in questi comuni, accettasse di firmare la dichiarazione, in base a quale parametro ne sarebbe valutata la congruità e la veridicità? Quale organo amministrativo ha mai, tra le sue competenze, quella di “pesare” la sincerità politica e ideologica di un uomo, di una donna o di partito o di un gruppo di soggetti associati tra loro? Anche accettando in ipotesi la balzana convinzione – giuridicamente parlando – dell’attuale presidente dell’Anpi – secondo il quale il Fascismo è reato tout court -, l’eventuale contestazione a livello amministrativo del reato dovrebbe seguire e non precedere uno specifico giudizio della magistratura. In altre parole, i comuni potrebbero al limite stabilire che quanti – persone o associazioni – sono stati condannati in base alle leggi “Scelba” e “Mancino” non possono più usufruire di spazi pubblici; perché solo in questo modo la decisione di concedere o meno uno spazio pubblico assumerebbe tratti di legittimità, consentendo anche – come sempre la legge deve consentire – il diritto di opposizione e impugnazione di un atto della pubblica amministrazione. Altrimenti, data la genericità delle categorie prese in oggetto da queste delibere approvate o in discussione in vari comuni italiani – non solo Fascismo, ma Razzismo, Omofobia, Xenofobia, ecc. -, consentirebbe la possibilità di conculcare i diritti politici e civili di chiunque. Dunque, l’immediata impugnazione di queste deliberazioni diventa un atto urgente e necessario, non fosse per altro, affinché la Giustizia amministrativa perimetri con esattezza l’eventuale applicazione di una tale decisione politica. Decisioni la cui natura è talmente e chiaramente strumentale da non poter essere sottovalutate nella loro pericolosissima portata di attentato alle libertà democratiche del Paese.