Ecco perché le botte a Brumotti di “Striscia” non suscitano “democratico” sdegno
Vittorio Brumotti ha sbagliato. L’inviato di Striscia la Notizia cocciuto come un mulo (e, sia chiaro, il mulo non è affatto stupido!) persevera nella ricerca e nella documentazione notturna delle piazze di spaccio nelle nostre città. Persevera e, perciò, rischia. Rischia e prende le botte una, due tre quattro volte. Viene addirittura inseguito, raggiunto e pestato a sangue fino a quando non trova pure qualcuno che gli spara addosso. Per fortuna senza colpirlo. Brumotti ha deciso di documentare lo spaccio di droga e al pubblico di Striscia propone, con i suoi intrepidi cameraman, momenti di cruda realtà, di vita e di opere degli spacciatori e di tutta quella microcriminalità che intasa e impaurisce le nostre città al servizio di mafia, camorra e ‘ndrangheta. Ha avuto il sostegno e la solidarietà di Striscia, com’era logico che fosse e di tanta gente che lo segue. Ma di pochi media. Quasi nessun cenno in prima pagina, nessuna prima notizia sui vari Tg o sui siti dei giornaloni: tutto relegato all’interno, come mero e sporadico fatto di cronaca. Perché, a ben vedere, è naturale che sia così. Perché Brumotti sbaglia. Quel che fa, dice e documenta è vero, reale. E la gente lo segue, capisce e l’apprezza. La gente, appunto. Non la grancassa del politicamente corretto. Quelle vestali non se lo filano proprio. Non gli interessa. Non gli serve il Brumotti, neppure con l’occhio tumefatto. E nemmeno sparato. Eccolo l’errore del funambolo del Tg satirico di Antonio Ricci: se, invece di occuparsi di spaccio, di criminalità comune, di bande che si spartiscono la città, di mafie avesse deciso di fare una bella inchiesta (meglio una serie di puntate) sulle trame nere d’Italia, sui picchiatori più o meno stupidi e più o meno rasati, su bandiere dei primo o secondo Reich (il terzo sarebbe troppo scontato, va da se), sul pericolo fascista che bussa alle nostre porte, altro che solidarietà e prime pagine avrebbe avuto. E invece di farsi inseguire e picchiare già tre o quattro volte e rischiare la pelle, a Brumotti e alla sua troupe sarebbe stata sufficiente una prima, unica, intimidazione. Una roba magari verbale, al massimo un cazzotto per avere sin da subito subito prime pagine di giornali, trasmissioni intere dedicate, manifestazioni democratiche e siti internet intasati di fiero disgusto antifascista. Così, invece, dovrà accontentarsi solo del nostro plauso e del sostegno del suo pubblico. Perciò, forza Brumotti. Continua a macinare inchieste. E fottitene del politicamente corretto.