Franco Fraschetti, che scappò di casa a 16 anni per arruolarsi nella Rsi
Esattamente 17 fa, il 13 dicembre, ci lasciava a Roma uno dei protagonisti della storia del Movimento Sociale Italiano degli anni di piombo: Franco Fraschetti, indimenticato segretario della sezione “Ezio Maria Gray” di viale Marconi, una delle più difficili della capitale. Ancora oggi coloro che ebbero l’onore di lavorare e di combattere con lui per gli stessi ideali, lo ricordano con affetto e rimpianto. Fraschetti fu tra coloro che fondarono la sezione pluribombardata di via Luca Valerio, quel gruppo che quando una sezione non c’era, si riuniva nel negozio di pelletteria di Gianfranco Idini, scomparso pochi mesi fa. Insieme a lui, si vedevano come cospiratori Terranova, Carminati, Colacchio, Tabone, Laudante, Anselmi, Amadei ed altri, che tenevano le loro riunioni proprio nel sottoscala del negozio di Idini, in via Gherardi. Fu lì nel 1970 che presero la decisione di aprire una sezione e di intitorarla a Ezio Maria Gray, deputato prima fascista e poi missino, scomparso proprio un anno prima. Fraschetti ne fu il primo segretario, carica che mantenne sino al 1975. Fraschetti riuscì a dare alla sezione quel carattere che la contraddistinguerà sempre, ossia creare un’atmosfera familiare, con molti genitori e fratelli, dove i grandi proteggevano i piccoli, dove le iniziative si facevano tutti insieme, dai corsi di paracadutismo ai campi estivi alle festività comandate ai tornei di calcio. Aveva creato una comunità. Il deputato e avvocato romano Giulio Caradonna, amico di Fraschetti, aveva aiutato nella realizzazione della sezione e spesso vi si recava. Ma uno dei frequentatori più assidui era il deputato-paracadutista Sandro Saccucci, che trasmise a molti di quei giovani la passione per il paracadutismo e i lanci, oltre a trascorrere del tempo con i giovani e organizzare i corsi di paracadutismo. Saccucci tra l’altro si trovò quando la sezione fu fatta a segno da due attentati dinamitardi nello stesso giorno, esprimendo tutto il suo dissenso, per così dire, per come le forze dell’ordine non avevano protetto la sezione. Fraschetti era uno a cui non mancava certo il coraggio: classe 1927, nato in via dei Coronari da una famiglia della media borghesia, il padre era commerciante, dopo l’8 settembre 1943, a soli 16 anni, scappò di casa non potendo sopportare il disonore dell’Italia, per andare ad arruolarsi nella Repubblica Sociale Italiana. Dopo un viaggio avventuroso, le cui tappe non raccontò mai, arrivò prima a Genova e poi a Milano, dove a quanto pare riuscì ad arruolarsi negli allievi ufficiali della Guardia nazionale repubblicana, dove incontrò e fece amicizia con Raoul Studer, poeta e scrittore nonché combattente della Rsi, che al suo funerale volle leggere una poesia dedicata a Franco, nella quale lo ricordava come uno dei primi camerati incontrati in Repubblica, ritraendolo con i capelli biondi sotto il basco e con la camicia nera. Ma Franco aveva solo 16 anni, e quando i genitori si accorsero della sua scomparsa, attivarono tutti i canali per ritrovarlo, cosa non facile in un’Italia divisa in due e in guerra. Ma il papà, dopo alcuni mesi, riuscì a scovarlo e a riportarlo indietro obtorto collo. Ma l’amore per quegli ideali e la coerenza politica non abbandonarono più il giovane Franco, che per tutta la vita si batté sempre per l’onore della sua patria. La sezione Marconi, negli anni Settanta, era ancora frequentata da combattenti della Rsi, che raccontavano ai più giovani cosa era successo e insegnavano loro le canzoni, durante quelle “cene sociali” per cui la sezione era famosa. Fraschetti era molto amico di Mario Mattei, e quella notte del 1973 fu tra i primi ad andare in piena notte a Primavalle. Tra i suoi camerati più vicini c’erano, oltre a Caradonna e Saccucci, il giudice Antono Alibrandi, Vittorio Martinelli, Ettore Ciancamerla, Michele Marchio, Domenico Gramazio, Donato Lamorte e altri. Franco Fraschetti rimane un esempio per coloro che la pensano in una certa maniera e hanno un modo differente di concepire la vita e la politica: uomini che fecero tutto nell’interesse del partito in cui credevano e nulla in favore dei propri interessi personali, se non la soddisfazione e l’orgoglio di aver agito il più coerentemente e onestamente possibile.