28/2/75: ricordo di Mantakas, ucciso a Roma (video commemorazione)
Se fosse vissuto, oggi Mikis Mantakas sarebbe un signore intorno ai sessantacinque forse già in pensione dopo una vita passata in qualche ospedale greco, o italiano, giacché era iscritto a medicina. Era nato ad Atene nel 1952. Ma le cose andarono in maniera molto diversa, e quel 28 febbraio del 1975 fu l’ultimo giorno della sua vita. E gli ultimi istanti della sua esistenza li trascorse sdraiato in un box privato, un garage, vegliato dall’attivista della sezione del Movimento Sociale Italiano del quartiere Prati Stefano Sabatini, che dopo che lo aveva visto cadere colpito da un proiettile (lo stesso proiettile che aveva sfiorato la tempia del Volontario nazionale Attilio Russo, nda), lo aveva trascinato al riparo per sottrarlo alla furia omicida che stava imperversando di fuori. E non sembri un’esagerazione, c’era davvero l’inferno in piazza Risorgimento quel giorno. Quella settimana si stavano tenendo al vicino tribunale di piazzale Clodio le udienze del processo Primavalle, quello in cui si giudicavano gli assassini dei fratelli Mattei, bruciati vivi di notte nella loro casa dai criminali di Potere Operaio Lollo, Clavo e Grillo (e altri tre). Gli estremisti di sinistra, proprio come fanno oggi i centri sociali, avevano deciso che i fascisti non avrebbero neanche potuto assistere al processo, e si mobilitarono in maniera massiccia, militare, per dar vita a scontri. Scontri che iniziarono il 24 febbraio mattina e andarono avanti sino a quel 28, quando missini e gruppettari rossi si videro davanti al tribunale alle sei del mattino. La notte prima un commando di Lotta Continua aveva assaltato la “palestra” di Angelino Rossi al Prenestino a volto coperto e con bombe incendiarie: ma ci fu anche un’altra vittima in quei giorni, un commissario di polizia che fu stroncato da un infarto mentre era lì in servizio, e che nessuno ricorda mai, Pietro Scrofana.
I gruppettari rossi erano pesantemente armati
A piazzale Clodio gli estremisti di sinistra erano pesantemente armati: pistole e bombe molotov a decine. E le usarono. Un dirigente del Fronte della Gioventù fu bersagliato da colpi di pistola, ma ebbe fortuna. Dopo alcune scaramucce dentro e fuori il tribunale, nel corso delle quali fu anche identificato Alvaro Lojacono (per uno scontro con un attivista missino del Prenestino), che successivamente sparò davanti la sezione di via Ottaviano 9. Secondo un disegno che a posteriori appare chiaro, alcune centinaia di comunisti ingaggiarono violenti scontri con la polizia, per permettere a un centinaio di loro, armati, di dirigersi verso la sede del Msi di via Ottaviano, presidiata da una trentina di attivisti, quasi tutti molto giovani. A quanto ricordano i testimoni, quelli di Potere Operaio spararono molti colpi di pistola contro il gruppo dei missini, i quali entrarono e uscirono un paio di volte dal portone, e fu nella seconda occasione che Mantakas fu colpito alla testa. Un altro ragazzo, Fabio Rolli, fu ferito a un polmone, ma lì per lì nessuno si accorse di nulla. Ci fu poi il lancio di molotov e l’assalto vero e proprio, sempre pistole in pugno. A quel punto alcuni missini riuscirono a rifugiarsi dentro la sede, altri rimasero fuori. Per giunta, in quei momenti mancò (o fu staccata) la luce cosicché la porta elettrica della sezione non si poteva più aprire. Un ragazzo che era lì dentro ricorda che al buio si sentivano grida, odore di benzina, terrore di finire come i Mattei, tentativi di armarsi con gambe di sedie e effettuare una sortita. Frattanto il dramma si era compiuto. I gruppettari avevano attaccato il portone dello stabile per entrarvi, così l’esanime Mantakas, nel frattempo colpito anche da una molotov il cui fuoco fu spento con le mani dai presenti, fu trascinato nel box da Stefano Sabatini e da altri ragazzi, che poi chiusero la serranda. A un certo punto gli estremisti irruppero nel cortile e spararono diversi colpi di pistola contro il box attiguo, che era quello più vicino all’entrata. A quel punto il fumo, il rumore, gli spari avevano attirato l’attenzione delle forze dell’ordine, che peraltro non avevano neanche ritenuto di presidiare la sezione del Msi che era un obiettivo tutto sommato da considerare. Arrivò la polizia, con gran stridore di gomme, ma era troppo tardi: un’ambulanza dei vigili del fuoco portò Mantakas all’ospedale ma poche ore dopo, subito dopo l’operazione alla testa, Mikis morì. Frequentava il Fuan di via Siena da qualche mese. Aveva conosciuto i ragazzi della destra universitaria al bar Penny, e con loro era andato quella fatidica mattina a piazzale Clodio. Poco dopo fu arrestato Fabrizio Panzieri di Potop, mentre usciva con aria indifferente da un portone poco distante. Testimonianze di giovani missini poi individuarono in Lojacono quello che aveva sparato.
Mantakas aveva subito altre aggressioni
Mantakas si era trasferito a Roma perché all’università di Bologna era stato aggredito da estremisti di sinistra davanti a Biologia mandandolo all’ospedale per quaranta giorni. Ai funerali nella chiesa di Santa Chiara, in piazza della Minerva, c’erano migliaia di persone, molte giovani. Persino in quell’occasione gli estremisti, usciti dalla vicina sede del Pdup, tirarono una bomba molotov contro l’automobile guidata dall’allora segretario provinciale del FdG Teodoro Buontempo, che riuscì a fuggire. Nel marzo del 1977 ci fu la condanna a nove anni e sei mesi di reclusione per concorso morale in omicidio per Panzieri. Assoluzione, invece, per insufficienza di prove, per Lojacono. Il processo di secondo grado, nel 1980, si concluse con la condanna a sedici anni di reclusione per entrambi. Ma un ricorso in Cassazione bloccò l’esecutività della sentenza per Lojacono che rimase in libertà per poi fuggire in Algeria, e poi in Svizzera assumendo il cognome della madre. Lojacono nel 1978 era nel commando delle Brigate Rosse che rapì Aldo Moro e uccise la sua scorta. Nel 1983, fu condannato all’ergastolo per l’omicidio del giudice Tartaglione. La Svizzera non concesse mai l’estradizione e nel 1999 divenne un uomo libero. Panzieri, approfittando di una scarcerazione, si dette alla latitanza. Nel 1982 fu condannato a ventuno anni di reclusione. Ancora oggi risulta latitante. Forse è in Nicaragua, dove c’è anche Grillo, quello di Primavalle.
Voglio ricordare, con l’occasione, il Segretario Politico della Sezione Prati in via Ottaviano 9, Antonio Tarantino, classe 1913 e reduce della Repubblica di Salò. Uomo integerrimo e privo di faziosità. Eravamo amici e colleghi al Ministero della Difesa. Quella mattina eravamo in Ufficio e fummo avvertiti con ritardo del fattaccio (non c’erano i telefonini). Quando arrivammo il povero Mantakas era già stato portato via, restò nel cortile una chiazza di sangue e già cominciavano gli omaggi floreali. La Sezione Prati era un avanposto contro la canaglia rossa e fu oggetto di numerosi attentati, ma Tarantino seppe mantenere la calma con pugno duro convincendo i giovani camerati che la vendetta non paga.
Un altro Grillo…