Foibe, il racconto di Alida: a 6 mesi ho lasciato Parenzo per amore dell’Italia
Riproponiamo la drammatica testimonianza rilasciata quattro anni fa al Secolo da Alida Gasperini, piccola esule istriana che, a soli 6 anni, ha abbandonato con la famiglia Parenzo, la sua città, per non cadere sotto la dittatura slava di Tito.
L’amore per l’Italia della piccola esule istriana
Il coraggio non le manca e nel nome della verità non risparmia nessuno, si chiami Luciano Violante ( interrotto educatamente durante un convegno) o Luigi Nieri (all’epoca vicesindaco della Capitale, ndr) al quale ha espresso «tutto il suo disprezzo» per la responsabilità dell’annullamento dei viaggi della Memoria da parte del Comune di Roma. Lei è Alida Gasperini: modi cortesi, sguardo aperto, occhi azzurri come un lago alpino. Esule istriana all’età di sei mesi, che oggi finalmente vede riconosciuta la verità sul dramma del popolo giuliano-dalmata e la tragedia degli infoibati. Dopo una vita di attesa. «Mi fa piacere che se ne parli e che finalmente anche i mezzi di informazione comincino a superare gli slogan di un negazionismo offensivo. Ho molto apprezzato che nel Giorno del Ricordo la puntata di “Porta a porta” (2014, alla quale ha partecipato come “testimone” ndr) sia stata dedicata a noi esuli, anche se in seconda serata.
Qual è la ferita che ancora le fa più male?
Oltre all’insabbiamento della verità, il mancato risarcimento dei danni e la non restituzione dei beni. Per me che provengo da una famiglia onesta, che non ha mai cercato vantaggi con i compromessi, il tira e molla tra Stato italiano e Croazia è stata una seconda rovina. Forse qualcuno ha avuto qualcosa… figurarsi noi: «mio padre ci ha resciuto con i valori del rispetto della persona, della vita, dell’amore per la terra, ci ha insegnato la dignità. Ci diceva che non c’è «gesto più rivoluzionario» dell’onestà, «se ciascuno fa il proprio dovere, se nessuno ruba nessuno morirà mai di fame», ripeteva. La Slovenia e la Croazia sono entrate in Europa prima della soluzione della restituzione dei beni agli esuli che hanno perso tutto. Qualcuno ha avuto degli acconti ridicoli dopo aver presentato la documentazione al ministero del Tesoro, al “saldo, però, deve pensare lo Stato italiano”, dice il governo croato. In sessant’anni la mia famiglia ha avuto 33mila euro per due case di due piani nel centro storico di Parenzo, due drogherie-profumerie e l’inventario fatto dagli slavi nel 1938 di merci valutate 265mila lire.
Lei è andata in esilio poco più che neonata…
Sono nata a ottobre del 1948 e il 10 aprile 1949 partivo esule con i miei due fratelli di 11 e 16, i miei genitori e la nonna anziana. Dopo una piccola sosta a Udine siamo vissuti per due anni nel campo profughi di Mantova, in sei in una stanza, e cinque anni in quello di Tortona in provincia di Alessandria.
Che ricordo ha di quei sette anni?
Soprattutto lo sguardo di grande sofferenza di mia mamma, che era nata a Cittanova d’Istria e aveva perso il primogenito alla fine della guerra a Trieste. A differenza delle altri madri, lei non cantava mai, quando una volta la sentii intonare Lilì Marlène per me fu come vedere sorgere il sole…
E dell’occupazione titina, delle violenze delle milizie slave?
Ricordi indiretti, racconti di persone che sparivano nel nulla. Mio fratello, che è morto un anno fa, conservava come un bene prezioso l’ultimo saluto di Norma Crosetto tre giorni prima di morire: «ciao Marietto», gli disse, e poi di lei non si seppe più nulla. poi violenze non solo fisiche: nessuno ricorda che la propaganda slava era fatta di slogan come «Abbasso Dio, patria e famiglia». Per questo venni battezzata in casa e di nascosto, la mia madrina, che oggi ha più di ottant’anni, vive a Roma nel dolore di tre infoibati in famiglia.
L’oblio è sepolto, i libri di storia hanno smesso di tacere, ma ancora ci sono molte resistenze. Pensiamo solo al linciaggio subìto da Simone Cristicchi per il suo spettacolo…
Purtroppo c’è ancora strada da fare. Quella di Cristicchi è un’opera coraggiosa con momenti di grande poesia, anche se da esule non posso negare (e gliel’ho detto di persona in camerino) che talvolta il testo ha ceduto a qualche svista negazionista. Quando si dice che il padre di Norma era fascista, in realtà era “semplicemente” un podestà o quando si fa riferimento all’incendio dell’Hotel Balcan, non fu un “incidente”. C’è ancora tanta ipocrisia nei confronti di un popolo che ha sofferto, e la cui pulizia etnica è stata studiata a tavolino da Tito, con la complicità di Togliatti.