Piero Scanziani ci lasciava 15 anni fa. La ricerca spirituale per “non morire”

27 Feb 2018 19:38 - di Antonio Pannullo

Piero Scanziani è stato uno scrittore svizzero-italiano, scomparso 15 anni fa all’età di 95 anni. Praticamente sconosciuto al grande pubblico, tuttavia è uno degli scrittori di lingua italiana più grandi di tutti i tempi. Non ha mai ottenuto il successo che meritava, perché è sempre stato al di fuori dei circuiti letterari e intellettuali che fanno e disfano le fortune degli autori. Un po’ come Julius Evola, i cui libri sono sempre stati caratterizzati dal silenzio tombale della critica e dei media. Ma il paragone si ferma qui, perché se l’ostracismo verso Evola era dovuto alle sue posizioni politiche, per Scanziani questo discrimine non ci sarebbe dovuto essere, perché non fu mai né fascista né nazista. E allora? Perché uno scrittore della sua caratura è caduto nel dimenticatoio? E anche in vita non ebbe quel successo che meritava, malgrado i suoi libri abbiano venduto decine di migliaia di copie in tutto il mondo. La risposta forse la dà lo stesso Scanziani in uno dei suoi libri con una frase: “La vita? La vita ride dei sì umani, ride dei no; ti può portare alle stelle o precipitare nel fango secondo il suo capriccio”. Ed è proprio così: lo stesso Scanziani racconta di aver visto nella sua lunga esistenza uomini capaci, colti, onesti, lavorare duramente tutta la vita senza mai guadagnare abbastanza, così come aver visto uomini modesti, meschini, ignoranti, arricchirsi in maniera smisurata. E Scanziani, certamente, appartenne alla prima categoria: nato da una buona famiglia italiana a Chiasso, ebbe un’infanzia difficilissima dopo la separazione dei genitori, trascorsa tra Chiasso, Losanna e Milano. Abbandonò gli studi classici per lavorare come giornalista nella Gazzetta ticinese, e successivamente si trasferì a Roma dove conobbe il filosofo Massimo Scaligero, che gli rimarrà amico tutta la vita. Visse tra l’Italia e la Svizzera per tutti il periodo del fascismo, sempre in condizioni di estrema precarietà economica. Tra l’altro, si era sposato prestissimo e aveva avuto tre bambini. Lui racconta che viveva in via di Villa Torlonia, a Roma, in una casetta con la sua famiglia dove lavorava duramente la notte per scrivere pezzi e romanzi con cui tirare avanti giorno per giorno. Oltre alla letteratura aveva due grandi passioni: il puglitato, che lo condusse a scrivere per riviste di settore, e l’allevamento dei cani: scrisse una grande enciclopedia del cane, per la De Agostini, tuttora attualissima, e trascorse dopo la guerra molti anni nello zoo di Roma, dove ricostituì la razza del mastino napoletano, andata perduta per le vicende del conflitto. Questa sua singolare eperienza è raccontata mirabilmente nel suo Viaggio intorno al molosso. Lui racconta che quando ci fu la prima esposizione dei nuovi mastini da lui creati dal capostipite Guaglione, trovato fortunosamente a Napoli, sentì in qualche mondo di essere il loro padre. Ed era proprio così. Ma la sua grande stella polare, per tutta la vita, fu la ricerca del sistema per non morire: proprio così, Scanziani era convinto che si potesse in qualche modo non morire, e per questo andò in giro in tutto il mondo alla ricerca di sapienti, di santi, di filosofi, per trovare quella ricetta che forse non trovò mai. Questa sua ricerca è raccontata in molti suoi libri, ma principalmente in Entronauti, neologismo coniato dallo stesso Scanziani, che vuol dire coloro che viaggiano allinterno di sé stessi. Così nei suoi magnifici libri, troviamo le descrizioni dei commoventi incontri con i sufi persiani, con i grandi anacoreti dell’Athos, con Aurobindo, con il maestro giapponese Uyeshiba, che conobbe quando quest’ultimo era molto anziano. E da ognuno prese qualcosa, un patrimonio spirituale altissimo, sistematicamente descritto nelle sue opere. Opere che non furono tante, poco più di venti, quasi tutte pubblicate dalle Edizioni Elvetica, ma che certamente hanno lasciato un segno nella letteratura mondiale. Scanziani infatti fu due volte candidato per il Premio Nobel dalla commissione internazionale presieduta dal Mircea Eliade e nel 1997 vinse il Premio Schiller per l’insieme delle sue opere. Ma non diventò mai ricco né famoso, perché davvero a lui non importava, a lui importava solo della nobiltà di animo. Alla fine della sua vita si era ritirato a vivere ai piedi del Monte Generoso, in Svizzera, in una casetta circondato dai suoi ricordi di una vita intensa e sempre con un cane al fianco, un Carlino, poiché era anziano, comunque sempre un molossoide, come quel Guaglione da cui ricreò la razza del mastino. La sua seconda moglie, la scrittrice Gaia Grimani, scrisse un libro a lui dedicato, Piero Scanziani La vita come frontiera, mentre in precedenza, nel 1990, era uscito un altra opera su di lui, Piero Scanziani testimone d’Europa, una critica collettiva di venti autori tra cui Massimo Scaligero, Geno Pampaloni, Romano Battaglia, Vittorio Vettori, Arturo Tofanelli e altri. Il suo stile fu crto rivoluzionario, pwerché seppe descrivere con parole semplici e poetiche concetti difficilissimi, cercando di dare risposte alle domande che l’uomo che si è posto da quando è comparso sulla Terra.

Commenti

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  • Soler maria José 4 Marzo 2018

    Bellissimo articolo ? tanta gioia di leggerlo

  • gianluca 28 Febbraio 2018

    Articolo bellissimo, ora mi sono incuriosito e voglio saperne di più sulle sue opere.

  • Pietro 28 Febbraio 2018

    Grazie, bell’articolo

  • Gaia Grimani 27 Febbraio 2018

    Sono grata per il ricordo di questo grande uomo, purtroppo sottovalutato e incompreso. Ma forse è proprio il destino dei grandi e dei puri.