Stato Sociale, a Sanremo hanno fatto i “bravi ragazzi”. Fuori fanno gli antifà

12 Feb 2018 12:32 - di Gloria Sabatini

Dovrebbero chiamarsi Centro sociale invece che Stato Sociale. I bravi ragazzi della band salita sul secondo gradino del podio di Sanremo hanno un curriculum barricadero e antifà. Al pubblico della kermesse targata Baglioni, i cinque, tutti nati a Bologna, hanno proposto un pezzo tranquillo, orecchiabile, la classica canzonetta per tutti i palati dall’applauso facile. Una vita in vacanza, inno alla normalità scanzonata con il fuor d’opera dell’acrobatica vecchietta che balla sul palco.

Lo Stato Sociale e il socialismo tropicale

Capelli rossi spettinati, barbetta incolta, il leader del gruppo (ma chiamato front-man altrimenti si arrabbia), Lodovico Guenzi, si muove sul palco dell’Ariston con stile vagamente hawaiano. Un po’ di Socialismo tropicale (nome di un loro album) ma niente di più. E poi l’immancabile polemica contro i ricchi, «la loro vacanza – tengono a precisare gli Stato sociale – «non sarà mai la barca vela, la copertina patinata, l’hilton e le guardie del corpo». Infine il gemellaggio virtuale con cinque operai licenziati dalla Fiat di Pomigliano d’Arco. Insomma non c’è traccia del furorore antagonista cresciuto a passamontagna e manganelli. Per Lodo, Albi, Checco, Bebo e Carota (che volevano arrivare ultimi come gli inascoltabili Elio e le storie tese) solo un po’ di vago impegno sociale in versione sanremese.

Tifano per le okkupazioni e attaccano i poliziotti

Ma basta scorrere il sito per accorgersi che il quintetto (autore anche di un libro “Il movimento è fermo”) si ispira ai 99 Posse dei tempi peggiori. Chiapas for ever, insulti contro gli sbirri e crociate per le “democratiche” okkupazioni dei centri sociali. Tra le immagini di concerti e diari di tourneé svetta la foto di un agente (fascista, of course) che colpisce una povera ragazza indifesa. Sì, perche per i bravi ragazzi di Sanremo «un centro sociale è un luogo di aggregazione che non si vergogna di avere delle idee, un luogo che sfugge alla dittatura dell’aperitivo a dieci euro, dove i concerti sono gratis, dove lasci i bambini (?), dove qualcuno insegna l’italiano agli stranieri, dove vai a fare la spesa e ti metti d’accordo col tuo contadino per la tua cesta mensile, dove una sera vedi l’opera punk e un’altra il wrestling proletario». Diffidate – scrivono – delle «tante cazzate, fedeli al grande dogma di internet “giudicare senza comprendere»”. Capito? I centri sociali dell’ultra sinistra, che sfornano militanti antagonisti, volti coperti e manganelli, aggressioni, provocazioni e vandalismi, sono luoghi di incontro libero e civile.

Evviva i centri sociali

Per questo i “cattivoni” della società (fascisti, populisti, nazisti, poliziotti) hanno “murato” Atlantide, il centro sociale di Bologna gestito dalla galassia Lgbt sgomberato dalla polizia dopo anni di trattative. Capito? «Sgomberano la gente dai posti vivi dove la gente si incontra, si mescola e cambia – scrive Lodo Guenzi, quello con la faccia da monello  – e penso che se adesso non rompiamo il cazzo fino alla morte a qualsiasi questore, a qualsiasi sindaco che gira la testa, a qualsiasi digossino che fa finta di niente mentre un carabiniere mena una giornalista, penso che ci meritiamo una città così. Se adesso tutti noi non facciamo un macello, sapete che c’è? Siamo tutti morti. Fanculo». Appunto.

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