100 anni fa il primo caso di Spagnola: 50 milioni di morti e un miliardo di contagiati
Esattamente 100 anni fa, l‘8 marzo del 1918, un cuoco militare americano, Albert Gitchell, si presentò all’infermeria di un forte nel Kansas con febbre, mal di testa, vomito. Sembrava un caso di banale influenza, ma era invece l’inizio della più grande pandemia della storia dell’umanità: era iniziata la Febbre Spagnola, o Grande Influenza, che in pochi anni mieterà in tutto il mondo 50 milioni di vittime e un miliardo di contagiati, superando per numero di morti anche la terribile Peste Nera che nel Medio Evo uccise il 30 per cento della popolazione europea. La pandemia si chiamò così perché i primi – e gli unici – giornali che ne parlarono furono quelli spagnoli, in quanto la Spagna, che non partecipò alla Grande Guerra, non aveva la censura sulla stampa. Nelle altre nazioni, a cominciare dagli Stati Uniti le cui truppe l’avevano esportata in Europa, si preferì non allarmare le popolazioni con notizie di pandemie. Il nome fu dovuto anche al fatto che uno dei primi a esserne colpito fu proprio il re di Spagna Alfonso XIII, che però sopravvisse. Così la Spagnola si diffuse rapidamente in tutti gli angoli del mondo, dal Pacifico all’Artico. Il contagio era rapidissimo, tosse e starnuti, e la mortalità elevata. In capo a un paio di giorni si moriva, e i medici erano impotenti, perché gli antibiotici non erano stati ancora scoperti e poi perché morivano medici, infermieri, autisti di mezzi pubblici, ferrovieri, tranvieri, commercianti, insomma tutte le persone a contatto con molta gente. Causa della diffusione in Europa furono anche le trincee, dove i soldati si assiepavano a migliaia a stretto contatto e in condizioni igieniche assolutamente carenti. I più colpiti furono non bambini o gli anziani, come oggi, ma i giovani dai 18 ai 28 anni. La meglio gioventù, perché erano esposti più degli altri in quanto non avevano sviluppato anticorpi tra un’epidemia e l’altra. Nessuna cura si dimostrò efficace e due anni dopo che era comparsa, scomparve. Al virus ovviamente si aggiunsero altre patologie e infezioni dovute alle basse difese immunitarie. In Italia causò 700mila morti, ma c’è chi dice un milione, e cinque milioni di contagiati più delle vittime della Prima Guerra Mondiale. L’Italia contava allora 36 milioni di abitanti. Solo nel 1933 – ma era troppo tardi – gli inglesi annunciarono di aver isolato il virus dell’influenza spagnola, che era stato trovato nel furetto. Peggiore della Spagnola fu forse solo la Peste di Giustiniano, iniziata nel 542 d.C. A Bisanzio e finita mezzo secolo dopo, dopo aver fatto, si dice, cento milioni di morti. E poi la Morte Nera del 1347-1350 che tra Europa e Asia uccise altre 50 milioni di persone. Tra le persone che morirono di Spagnola ci fu Guillame Apollinaire, Erik Bernadotte, Edmond Rostand, Umberto di Savoia Aosta, Egon Schiele, Federigo Tozzi, Max Weber, mentre la contrassero ma non ne morirono il futuro presidente americano Woodrow Wilson, Mahatma Gandhi, Mustafà Kemal, futuro leader turco, Franklin d. Roosevelt, che poi sarà presidente Usa, Hemingway, Dos Passos, Kafka, e anche Ezra Pound, che la contrasse a Londra. I virus dell’influenza mutano ogni anno, ma le mutazioni più importanti, come l’H1N1 della Spagnola si presentano ogni qualche decennio: così nel 1957 vi fu la pandemia della cosiddetta Asiatica (H2N2), di origine aviaria, che in tre anni fece due milioni di morti e il cui virus fu isolato in Cina; seguita poi nel 1968 dalla pandemia di Hong Kong, che durò un anno e causò circa un milione di vittime.