L’America rende omaggio a Giuseppe Tucci, l’Indiana Jones di Mussolini

2 Mar 2018 9:37 - di Aldo Di Lello

Giuseppe Tucci, orientalista, archeologo, esploratore, figura chiave della politica fascista per l’Oriente negli Anni Trenta: l’Asia Society Museum di New York gli rende omaggio in questi giorni con una mostra presso il museo in Park Avenue dal titolo “Unkwnown Tibet” (“Tibet sconosciuto”), che espone i dipinti e gli oggetti raccolti dal grande orientalista italiano nel corso delle sue otto spedizioni nel Paese del Dalai Lama. Sia detto per inciso, l’Asia Society è il più importante centro studi americano per l’Oriente. Questa esposizione presenta un notevole significato culturale e un duplice significato politico. «Questa rievocazione delle fondamentali esplorazioni e interpretazioni di Tucci – si legge sul giornale in lingua italiana La Voce di New York – ricorda come difficilmente esse sarebbero potute avvenire oggi, dopo l’occupazione del Tibet da parte della Cina».

Tucci dimenticato dall’Italia

Il primo significato politico di questa mostra è il suo riportare all’attenzione internazionale la cultura e la spiritualità tibetane che si sono inabissate nei decenni passati a causa della repressione cinese, una repressione che conosce una recrudescenza proprio nel tempo di Xi Jinping: all’affermazione della Cina come grande potenza globale è corrisposta la scomparsa del Tibet nei pensieri e nelle preoccupazioni dell’opinione pubblica mondiale. Il secondo significato politico è invece legato alla figura di Tucci, uno dei grandi della cultura italiana del Novecento che continua a conoscere uno sconcertante oscuramento a causa del suo stretto legame con il regime fascista. L’indubbio valore scientifico dell’opera di Tucci non ha purtroppo impedito che sul grande orientalista cadesse, soprattutto negli ultimi anni, l’oblio, una dimenticanza interrotta soltanto, qualche mese fa, da un’interessante puntata di “Passato-Presente”, trasmissione condotta da Paolo Mieli su Rai Storia. Persino la Repubblica, in un articolo di Federico Rampini, lamenta il fatto che il «Museo nazionale d’arte orientale di Tucci è chiuso dal novembre scorso e la collezione sta per essere trasferita all’Eur, nell’edificio che ospita già il Museo Pigorini e il Museo di arti e tradizioni popolari».

“Plenipotenziario” di Mussolini in Asia

Perché il ministro della Cultura, Dario Franceschini, ha consentito una simile indecenza? Tagli alla spesa pubblica, indolenza, superficialità? Certamente, ma anche, probabilmente, la voglia di rimuovere dalla memoria culturale dell’Italia quella “scandalosa”, stretta connessione di Tucci con la politica fascista. E non si trattò di un legame casuale, ma di un rapporto organico. Insieme con Giovanni Gentile, grande artefice della politica culturale del regime fascista, Tucci fondò l’Ismeo (Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente). E parliamo di un’iniziativa all’avanguardia nelle relazioni culturali tra Europa ed Asia negli Anni Trenta del Novecento. Ma c’è di più. L’azione culturale-diplomatica dello studioso accompagnò (e in qualche caso precedette) la politica ufficiale italiana verso i Paesi d’Oriente. Nel 1937 Mussolini inviò Tucci in Giappone come rappresentante del governo per aprire la strada al Patto anti-Comintern. C’è da aggiungere che l’orientalista era, anche e soprattutto, uno strumento importante per le ambizioni mussoliniane sull’India. Nella celeberrima visita di Gandhi in Italia c’è, dietro le quinte, l’opera di Tucci. Vale la pena sottolineare che per il Duce non si trattava soltanto di utilizzare, tatticamente, il Mahatma in funzione anti-britannica. Mussolini accarezzò anche l’idea, in una certa fase, di sostituire l’influenza inglese in India con quella italiana.

L’intervento di Andreotti nel dopoguerra

Grandi ambizioni di un’altra Italia, un’Italia che sapeva pensare in grande, cioè che sapeva pensare la geopolitica. E Tucci incarnava in pieno le ambizioni e il coraggio di quell’Italia che non c’è più. Non era solo un uomo di studio, era anche un uomo d’azione. E lo testimoniano le sue otto missioni in Tibet, svolte in condizioni durissime e avventurose: non è davvero esagerato considerare Tucci una sorta di Indiana Jones del fascismo. La parabola di Tucci non poteva che declinare con la caduta del regime. Dopo la fine della guerra, l’orientalista conobbe l’ostracismo e l’epurazione. Sarebbe probabilmente stato costretto a espatriare, se in suo soccorso non fosse intervenuto un giovane uomo politico emergente nell’Italia del dopoguerra: Giulio Andreotti, grazie al quale l’”Indiana Jones” di Mussolini fu reintegrato nell’insegnamento universitario e grazie al quale poté riaprire l’Ismeo, chiuso dopo il 25 luglio. Il Divo Giulio, da fine uomo di Stato qual era, voleva impedire che una grande opera come quella di Tucci andasse dispersa. Era un patrimonio dell’Italia e doveva continuare a essere valorizzato. Ci sono voluti Renzi e Franceschini per riportare Tucci nel dimenticatoio. Ora però, caso singolare e imprevisto, sono arrivati gli americani dell’Asia Society a riaccendere nuovamente i riflettori su questo grande italiano.

 

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