Una condanna di cinque anni e quattro mesi con il rito abbreviato (a partire da otto anni, con lo sconto di pena di un terzo), ma che, di fatto potrebbe essere assai più breve. Un’altra vicenda in cui il senso di giustizia dettato dal buonsenso si scontra con decisioni in punta di diritto che non possono essere digerite e che infatti scatenano polemiche a non finire. Si tratta della pena comminata dal giudice Luca Ramponi al pedofilo pakistano che, il 10 luglio 2017, abusò di un connazionale tredicenne, disabile, nelle campagne della Bassa reggiana, costringendolo al ricovero in ospedale.
Akthar Nabeel era un richiedente asilo, reo confesso, che fu rimesso di fatto in libertà dal giudice Giovanni Ghini. Non poteva stare più ai domiciliari perché chi lo ospitava, quando emerse la terribile vicenda, gli negò la casa, come apprendiamo dal Resto del Carlino. Il gip non poteva prescrivergli i domiciliari, ma al carcere preferì l’obbligo di firma in caserma e il divieto di avvicinamento al bambino. «Riferendosi al fatto che il 21enne si era “chiuso” in casa, scrisse che aveva dimostrato «straordinaria autodisciplina» e che quindi si poteva disporre una misura alternativa al carcere. Parole che scatenarono lo sdegno prima dell’opinione pubblica, poi il Guardasigilli Orlando, con l’avvio di un’azione disciplinare e di un iter da parte del Csm per valutare un’eventuale incompatibilità ambientale o funzionale del giudice. «Il magistrato Maria Rita Pantani aveva impugnato la decisione del giudice al Riesame, che dispose il carcere. Ma il 21enne, difeso dall’avvocato Domenico Noris Bucchi, preferì evitare il ricorso e accettò la detenzione, scattata dal 3 ottobre 2017 a Piacenza: «I tempi del ricorso in Cassazione – commentò allora il legale – avrebbero potuto significare un anno di libertà». Bisogna sapere che il pm aveva chiesto per il 21enne dodici anni, che per effetto del rito abbreviato si sarebbero ridotti a otto-nove. La sentenza alleggerisce l’accusa da violenza sessuale ad atti sessuali su minori e accoglie le attenuanti, come richiesto dalla difesa. Ma – questo è l’assurdo sviluppo – «il pedofilo se i percorsi di osservazione in carcere e di riabilitazione – previsti per chi compie reati sessuali su minori – dovessero andare a buon fine (sempre che la sentenza non sia appellata e se in secondo grado fosse confermata), potrebbe ritrovarsi già nei primi mesi del 2019, tra meno di un anno, fuori dal carcere, a scontare la pena con una misura alternativa, come l’affidamento ai servizi sociali».
Tuona Roberto Mirabile, presidente della “Caramella buona”, onlus antipedofilia che ha seguito la vittima,: «Sono sconvolto nel sentire un simile giudizio. È invece una condanna bassa e vergognosa. Bisogna abolire gli sconti di pena ai pedofili». Perplessa anche l’avvocato Monica Nassisi, della onlus, che rappresentava anche il minorenne e la famiglia, soprattutto in relazione alla recente sentenza con cui il tribunale di Caltanissetta afferma che il 21enne non aveva diritto allo status di rifugiato. Dalle indagini, secondo quanto raccontato da un connazionale, sarebbero emersi anche altri due casi di pedofilia da lui commessi in Pakistan, che avrebero indotto il 21enne a emigrare. È evidente che si tratta di un soggetto pericoloso venuto in Italia dove il diritto ha mille interpretazioni.
A questo giudice e a tutti i deputati e senatori che hanno concepito queste pene ridicole auguro sentitamente di essere vittime dello stesso abuso. Forse in quel caso si renderanno conto che servono pene molto più severe se si vuole mantenere l’effetto deterrente a difesa dei cittadini.