Per la morte di Giuseppe Uva assolti in Appello tutti i carabinieri e i poliziotti indagati

31 Mag 2018 15:21 - di Redazione

Tutti assolti. Questa la sentenza della Corte d’Assise d’Appello a Milano nei confronti degli imputati per la morte di Giuseppe Uva, deceduto nel giugno 2008 a Varese dopo essere stato portato in caserma mentre stava spostando delle transenne dal centro di Varese ed essere poi trasportato con trattamento sanitario obbligatorio all’ospedale di Circolo di Varese, dove morì la mattina successiva per arresto cardiaco.

È stata confermata quindi la sentenza di primo grado. La Procura generale di Milano aveva chiesto la condanna a 13 anni di carcere per i due carabinieri Paolo Righetto e Stefano Dal Bosco, imputati per la morte di Giuseppe Uva e la richiesta di condanna a dieci anni e sei mesi anche per sei poliziotti: Gioacchino Rubino, Luigi Empirio, Pierfrancesco Colucci, Francesco Barone Focarelli, Bruno Belisario e Vito Capuano.

Tutti dovevano rispondere di omicidio preterintenzionale e sequestro di persona aggravato dalla qualifica di pubblico ufficiale. Il sostituto pg Massimo Gaballo aveva a chiesto di condannare a 13 anni i due militari e a 10 anni e mezzo i sei agenti e la morte dell’operaio sarebbe stata una conseguenza, insieme ad altre cause, tra cui una sua pregressa patologia cardiaca, delle «condotte illecite» degli imputati. Alberto Bigioggero, che quella sera era con Giuseppe Uva, aveva raccontato che uno dei carabinieri aveva detto: “Proprio te cercavo, questa notte non te la faccio passare liscia”. Secondo Bigioggero, Uva si sarebbe vantato di avere avuto una relazione con la moglie del carabiniere. Diversa l’interpretazione dei difensori degli imputati, che hanno sostenuto che non vi fu quella sera nessuna macelleria, nessuna azione di violenza e che l’accusa «è stata gonfiata» per effetto «di un aspetto mediatico e televisivo che ha spettacolarizzato la vicenda».

«Una sentenza pericolosa.Ovviamente lette le motivazioni faremo subito ricorso in Cassazione», dice l’avvocato difensore della famiglia Uva, Fabio Ambrosetti. «Sono sinceramente molto stupito dalla sentenza -dice- in particolare sul primo capo di imputazione. Preoccupa soprattutto che ci possa essere una limitazione dela libertà personale quando non ci sono esigenze di identificazione o ragioni reali”. Ovvio ”che la famiglia Uva dopo 10 anni non abbia accolto positivamente la sentenza -sottolinea- però Lucia Uva è assolutamente soddisfatta almeno nella parte in cui per la prima volta un procuratore le ha detto che aveva ragione e che ha avuto ragione nel proseguire la battaglia».

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