“Lettere da Barcellona”, la crisi catalana vista da Bobo Craxi

12 Giu 2018 12:27 - di Lando Chiarini

La crisi spagnola dello scorso anno culminata nel referendum per l’indipendenza della Catalogna raccontata sotto forma di epistolario tra Bobo Craxi e Nicola Padovan, veneziano trapiantato a Barcellona e collaboratore di Ara.Cat, blog tra i più impegnati in favore della causa secessionista catalana. Questo e altro ancora si legge in Lettere da Barcellona (introduzione di Steven Forti, Biblion edizioni – 12,00 €). Una corrispondenza che offre una visuale originale di una delle pagine più controverse e rilevanti della recente spagnola attraverso la lettura che ne danno due italiani, Craxi e Padovan appunto, entrambi emotivamente coinvolti nelle tumultuose vicende catalane. Il primo per ragioni più squisitamente politiche (ma anche familiari: suo figlio studia lì) legate alla figura di Pasqual Maragall, il sindaco socialista di Barcellona cui si deve la trasformazione urbanistica della città a seguito della sua individuazione a sede delle Olimpiadi del 1992; il secondo per ragioni personali e professionali. La forma epistolare rende il libro di Craxi una sorta di osservatorio sulla crisi spagnola seguita con la tecnica del “giorno per giorno”, attraverso scambi di opinioni e di previsioni che chiamano in causa la storia, la geopolitica e, soprattutto, il futuro dell’Unione Europea, vera convitata di pietra nel duro confronto tra Madrid e Barcellona. Anzi, uno scontro, combattuto non solo sulle interpretazioni della Costituzione spagnola, ma anche attraversi i drammatici corpo a corpo tra indipendentisti e Guardia Civil, da un lato, e tra unitari e Mossos d’Esquadra (la polizia regionale), dall’altro. Unità e integrità nazionale contro indipendenza intesa come autodeterminazione di un popolo: due valori che riteniamo acquisiti ma che solo pochi mesi fa, nella civilissima Spagna, abbiamo visto in lotta l’uno contro l’altro. I volti sono quelli del giovane re Felipe, di Mariano Rajoy e di Carles Puigdemont: un monarca costituzionale, un premier democratico, un leader spinto dal “suo” popolo. Tre uomini per tre istituzioni – il trono, il governo centrale, e la Generalitat – ognuno con un pezzetto di ragione e di verità in tasca. Ma anche di torto. Tanto è vero che la crisi catalana non è ancora finita, sebbene Puigdemont stia per essere estradato dalla Germania dove si era rifugiato a seguito dell’accusa di ribellione e sebbene alla Moncloa non sieda più il popolare Rajoy ma il socialista Pedro Sanchez. Non è finita soprattutto perché non ne sono state esplorate le ragioni e perché, come scrive Craxi, non ci è ancora chiaro se la crisi catalana abbia definitivamente archiviato la suggestione delle “piccole patrie” come risposta alla globalizzazione o se, al contrario, finirà per spianare la strada ad un assetto regionalistico dell’Europa come antidoto alla crisi dello Stato nazionale. Comunque vada, è la prova che il Vecchio Continente non rinuncia a scrivere la storia.

Commenti

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  • Albert Augugliaro 12 Giugno 2018

    Oh…il Bobo noto intellettuale della piccola destra italiana..