Non solo grandi opere, oggi l’Italia ha grande bisogno di manutenzione
Riceviamo da Gianni Papello e volentieri pubblichiamo:
Caro direttore,
Ogni buon proprietario che tenga alla propria casa sa bene che questa ha bisogno, oltre che di opere importanti, anche e soprattutto di un’accurata e costante manutenzione. Senza di questa anche la casa più bella e prestigiosa diventerà presto poco vivibile e poco gradevole. Lo stesso vale per la casa di tutti noi, cioè in nostro Paese. Le grandi opere infrastrutturali, affrontate e riavviate in modo massiccio dall’inizio di questo millennio erano necessarie e rimangono molto importanti, ma se non vengono effettuati, o se vengono ridotti al lumicino gli interventi di manutenzione il nostro diventa un Paese nel quale è sempre più difficile vivere.
Da troppi anni gli investimenti a favore delle opere di manutenzione dei sistemi stradali, ferroviario, idrici e urbani sono ridotti al lumicino, al punto che i soggetti competenti non hanno più risorse per effettuarle, con i disastrosi risultati che sono sotto gli occhi di tutti noi: strade sconnesse, interi quartieri invivibili, mezzi pubblici sempre più in sofferenza e cosi via. Disporre di autostrade e ferrovie veloci è indispensabile, ma lo è altrettanto poter godere dell’utilizzo delle infrastrutture e dei servizi di livello intermedio o locale. E più che mai oggi è necessario un indirizzo di risorse pubbliche a favore delle opere di manutenzione ordinaria e straordinaria dei sistemi stradali non a pedaggio, ferroviari regionale e delle periferie urbane e comunali. Il declino italiano passa e si misura anche e soprattutto in questo.
I cittadini assistono impotenti all’abbattimento del livello di servizi e fruibilità di beni a loro favore e vivono giorno dopo giorno, il decadimento del loro livello di qualità della vita reale, vedendosi costretti spesso ad azioni spontanee come quelle di colorare le buche più pericolose o manutenere direttamente i giardini pubblici. Sul piano economico è evidente che investire in manutenzione piuttosto che su grandi opere significa allocare risorse pubbliche su misure e interventi di rapida realizzazione e che quindi fanno crescere rapidamente il Pil, anche a fronte di un momentaneo aggravio del rapporto tra deficit e Pil stesso.
E non c’è solo il beneficio della rapidità di spesa ma anche quello occupazionale; un recente studio del Centro ricerche economiche sociologiche e di mercato nell’edilizia (Cresme) ha infatti sottolineato come i lavori di taglia medio-piccola comportino, per ogni milione di euro investito, un tasso di occupazione molto più alto (+60%) rispetto alle grandi opere. Non dobbiamo dimenticare che la ripresa, anche se fragile, prosegue e si consolida in Eurolandia molto più che in Italia. Noi facciamo fatica a ripartire e, senza una forma di sostegno diretto o indiretto da parte dello Stato rischiamo di precipitare in una recessione senza via d’uscita. Il classico meccanismo di intervento rappresentato dagli investimenti sulle opere pubbliche, da sempre considerati uno strumento diretto di rilancio economico, ha senso solamente se mirato a far crescere, e rapidamente, l’economia su tutto il territorio nazionale.
E qui arriviamo alla seconda considerazione di tipo sociale: gli interventi di manutenzione, per definizione di media e piccola entità unitaria, possono essere meglio distribuiti geograficamente e meglio differenziati per finalità. Questo significa garantire lavoro e sviluppo a tutte le aziende sul territorio nazionale in maniera omogenea, con evidente beneficio diretto e indiretto per l’economia di tutto il paese e non solo di alcune aree. Ma significa anche poter intervenire in modo mirato per ridurre le spese correnti delle amministrazioni locali e favorire il recupero dei quartieri periferici anche e soprattutto dotandoli di tecnologie efficienti e avanzate, come illuminazioni a led, reti wi-fi, sistemi di monitoraggio del traffico e della sicurezza, miglioramento delle reti idriche pubbliche.
Nel quadro macroeconomico e sociale attuale è pertanto indispensabile, per ottenere a breve termine un rilancio dell’economia e del livello di vita dei cittadini, affiancare agli investimenti sulle grandi infrastrutture, i cui risultati economici tangibili non possono realisticamente essere ottenuti prima di tre/quattro anni, un piano di interventi di manutenzione e di recupero diffusi su tutto il territorio nazionale. Le risorse sono in parte già disponibili e potrebbero essere utilizzate come leva per far convergere su questo fronte anche i fondi europei già destinati a Stato e Regioni, senza inoltre dimenticare che nel caso degli interventi che dimostrino un risparmio nella spesa corrente si potrebbe ricorrere ad anticipazioni della Cassa depositi e prestiti.
Con questo approccio in pochissimi mesi si potrebbe varare un piano di investimenti di almeno 10 /12 miliardi, poco più di mezzo miliardo a regione, investimenti che dovrebbero essere attuati con procedure d’urgenza e completati in non più di 12/15 mesi, anche con l’utilizzo delle strutture dello Stato a sostegno degli Enti locali, ad esempio delle stazioni appaltanti centralizzate, per snellire e velocizzare l’avvio delle opere in questione. Il ritorno sul Pil, in termini diretti e indiretti sarebbe paragonabile, se non addirittura superiore alle somme investite. Il programma è concretamente realizzabile e può diventare l’occasione per coinvolgere e far lavorare all’unisono le migliori e più positive intelligenze del sistema Paese unendo in uno sforzo comune i ministeri, le regioni e gli enti locali per ridurre al minimo i tempi di avvio e di realizzazione delle opere.
È un dovere verso i cittadini, verso le piccole e medie imprese italiane e verso gli enti locali, che hanno sopportato in silenzio e con grande senso civico la maggior parte degli oneri di risanamento del bilancio dello Stato. È un dovere verso l’intero Paese.
Discorso giustissimo che condivido completamente. Solo che grazie ai poiticastri della prima repubblica, dopo che negli anni 60 ci siamo dotati di una serie di infrastrutture, anche superiori di qualità agli atri paesi europei, hanno bloccato il tutto per diversi lustri, lasciando così dei veri e propri buchi, oggi è più elegante chiamarli gap infrastrutturali. Esempio il collegamento tirrenico con circa 50 anni di discussioni, come l’altro: la Orte Mestre, che da Ravenna in poi è chiamata la strada della morte. Anche per questa dibattiti lunghi anni, ed ora grazie alle pessime scelte del ex ministro Del Rio e dei suoi sodali, sono arrivate soluzioni da operetta. Pochi sodi da spendere per fare minimi rattoppi. Non so se l’attuale ministro abbia voglia di prendere provvedimenti seri, perchè, o le cose si fanno per bene, o meglio non farle. Purtroppo dentro il partito di Toninelli ci sono molti appartenenti ai NO a tutto, quindi ho poca speranza di vedere terminate opere indispensabili, che aspettano da mezzo secolo il loro compimento.
Deve fare in modo che le navi portacontainer che passano il canale di suez e ci passano sotto al naso per andare fino a Rotterdam attracchino nei porti italiani.
È vero, dobbiamo fare in modo che si creino le condizioni perché il nostro paese sia concorrenziale come piattaforma logistica rispetto al resto d’europa. La posizione naturale ci avvantaggia, le nostre infrastrutture devono fare il resto
Parlate meno e più lavoro!