
Lecce, case popolari in cambio di voti: 9 arresti e 46 indagati tra i politici
Cronaca - di Stefania Campitelli - 7 Settembre 2018 alle 14:06
Clamorosa svolta nell’inchiesta della procura di Lecce sulle case popolari, che vede indagate 46 persone. Ex amministratori comunali, consiglieri comunali, alcuni ancora in carica, e dirigenti del Comune di Lecce sono stati arrestati in queste ore dai militari della Guardia di Finanza. Le Fiamme Gialle hanno eseguito un’ordinanza di misura cautelare nei confronti di 9 persone (di cui due in carcere, cinque agli arresti domiciliari e due con obblighi di dimora), indagati a vario titolo per reati di associazione a delinquere, peculato, corruzione, corruzione elettorale, abuso d’ufficio, falso, occupazione abusiva, violenza privata e lesioni. In sostanza gestivano e controllavano “il mercato di voti” attraverso l”assegnazione mirata di alloggi popolari in barba alla graduatoria del Comune di Lecce.
Agli arresti domiciliari finiscono l’ex assessore e attuale consigliere comunale Attilio Monosi (centrodestra), il consigliere comunale del Pd Antonio Torricelli, l’ex assessore della giunta Perrone Luca Pasqualini (centrodestra), il dirigente comunale Lillino Gorgoni e il 27enne Andrea Santoro. Interdetti dai pubblici uffici tre dirigenti e funzionari dell’ufficio casa: Piera Perulli, Giovanni Puce, Paolo Rollo e Luisa Fracasso. Tra gli arrestati anche due inquilini di case popolari del quartiere Stadio: si tratta di Uberto Nicoletti e Nicola Pinto, di 31 e 41 anni, leccesi. Sono tutti accusati di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione elettorale. Secondo l’ipotesi di reato formulata dai magistrati, è stata accertata l’assegnazione indebita di alloggi di edilizia residenziale pubblica a favore di persone non collocate in graduatoria in posizione utile, l’occupazione abusiva di alloggi resisi disponibili per l’assegnazione e l’accesso illegittimo a forme di sanatoria in assenza dei requisiti richiesti. Nel corso delle indagini sono venuti fuori diversi particolari che hanno dato origine a nuovi filoni d’inchiesta. Uno riguarda l’attività di alcuni indagati per fare in modo che un alloggio tolto dall’Antimafia a un boss della malavita locale venisse assegnato al fratello dello stesso boss. Gli indagati, sempre secondo gli investigatori, avevano messo a punto un efficiente sistema per tenere sotto controllo il “serbatoio dei voti” che ogni beneficiario degli alloggi poteva mettere a disposizione. Gli inquilini beneficari della casa popolare dovevano produrre, su un foglio, il nome delle persone vicine che avrebbero garantito il voto alle elezioni.