Il mostro in politica ha successo: dal Leviatano a Salvini. Una storia sempre attuale
“La balena! La balena! Barra a sopravvento, barra a sopravvento! Oh voi tutte, potenze buone dell’aria, tenetemi stretto…”. Nelle pagine finali del suo capolavoro, Moby Dick, Herman Melville descrive così l’avvicinarsi del mostro e la reazione di Achab. La balena, il mostro che incombe su di noi, le nostre ossessioni, la caccia inevitabile, la “grande guerra santa” che ciascuno è chiamato a combattere con la parte mostruosa di sé. E quando il “mostro” lo portiamo fuori di noi, lo sbattiamo su una pagina bianca per farne letteratura, allo stesso tempo lo esorcizziamo e lo dominiamo. Nella saga di Harry Potter l’autrice, Joanne K. Rowling, immagina che il maghetto, per sconfiggere i dissennatori, ombre grigie che portano i peggiori incubi, esegua incantesimi ridicolizzanti. La risata ci libera del mostruoso, lo ridimensiona, lo soggioga. Non si racconta forse che Martin Lutero scacciasse coi peti le apparizioni diaboliche?
E tuttavia con i mostri ci si convive volentieri, fanno parte del nostro immaginario, sono oggetto di studio nella teratologia, camminano al nostro fianco dalla notte dei tempi. Se ne occupa un libro pieno di fascino scritto da Lorenzo Montemagno Ciseri, Mostri, la storie e le storie (Carocci editore), che opportunamente comincia con una bella frase di Gilbert Keith Chesterton: “Non sono le fiabe a dare al bambino la sua prima idea di orco. Ciò che le fiabe gli danno è la prima idea chiara della possibile sconfitta dell’orco”. Quando la politica sconfina nell’escatologia e si appropria dei toni apocalittici, ecco che l’etichetta di mostruoso – nella sua accezione morale e non più in quella che rimanda al prodigioso, al lontano, allo sconosciuto – fa la sua comparsa e diventa fastidioso marchio infamante. Oppure diviene pretesto per schernire l’avversario: precedente illustre quello di Francesco Cossiga che definì Achille Occhetto “zombie con i baffi” mentre Giulio Andreotti vantava per tutti i soprannomi “il gobbo” o “Belzebù”. Non meno nota, del resto, l’espressione di Rino Formica sui “nani e le ballerine” nel suo partito – il Psi – una battuta destinata a diventare metafora di una politica ridotta a spettacolo circense.
Proprio nei circhi infatti, o nelle “camere delle meraviglie” o “gabinetti delle curiosità”, si esibivano gli esseri reputati “anomali” perché malformati, dando spettacolo al pari di mostri contraffatti o artificiali, come la famosa “sirena delle Fiji” – che anche Charles Dickens volle ammirare a Londra – e che non era altro che l’abilissima congiunzione del corpo di una femmina di orangutan con la coda di un salmone. Il mostruoso manufatto fu non a caso venduto nel 1842 a Phileas T.Barnum, re indiscusso degli imprenditori di spettacolo e degli show itineranti statunitensi.
Il parallelismo fisico e fisiognomico tra mostro e politico fondato sulla battuta è l’aspetto più immediato e popolare di una derisione dell’avversario che è entrata a far parte del linguaggio politico resistendo a ogni tentativo di normalizzazione linguistica ad opera del “politicamente corretto”. Si pensi a Grillo che appella Berlusconi come “psiconano” o al vignettista Vauro che raffigura Matteo Salvini come un maiale. Associare a una vita animalesca l’avversario da colpire è del resto una tradizione giacobina che diede i suoi frutti nei libelli polemici che circolavano a Parigi contro la regina Maria Antonietta, dipinta come una dissoluta capace di ogni perversione. Ma al di là del gergo politico ad uso mediatico le caratteristiche del “mostruoso” diventano anche categoria politologica. Il potere, lo Stato, l’entità cui è delegata la custodia del vivere associato assumono le fattezze mostruose del Leviatano di Thomas Hobbes, il filosofo che inaugura un percorso di riflessione che sarà sviluppato in altre famose opere contro i regimi totalitari, dalla Fattoria degli animali di Orwell (dove i politici trasfigurati in bestie perdono ogni caratteristica di umanità) all’opera di Bertrand de Jouvenel, Del potere: storia naturale della sua crescita, nella quale lo Stato moderno è ben raffigurato dal Minotauro, il feroce mostro della mitologia greca contrapposto ai fragili cittadini la cui libertà viene sempre più circoscritta.
Prima ancora di Hobbes era stato proprio un italiano, Machiavelli, a paragonare il principe al centauro Chirone, il precettore di Achille, per spiegare che il sovrano deve avere in sé anche la natura ferina della bestia. E se dal piano della filosofia politica ci spostiamo a quello della fantasy anche qui il potere assume forme mostruose, come il Sauron del Signore degli Anelli che ha al suo servizio schiere di orchi deformi. Orchi che diventeranno zombie nei visionari film di George A. Romero. “I suoi zombie – scrive Ciseri – rappresentano una massa, priva di quella che un tempo si sarebbe definita coscienza di classe, ma che smaschera a livello interpretativo una società che si definisce civile e che di fronte alla loro comparsa, alla loro diffusione, scopre di non esserlo affatto”. Il mostro va a braccetto con la paura, dunque, con la psicosi, con l’istintualità e può fare capolino in ogni momento, non fuori di noi, non nell’oceano sconfinato dove dimora Moby Dick, ma nelle coscienze che si annullano, che regrediscono, come i ragazzini del romanzo di Williamo Golding, Il Signore delle mosche, che linciano un loro coetaneo perdendo per sempre la loro innocenza.