Solgenitsin, il centenario oscurato. L’autore di Arcipelago Gulag fa ancora paura
Avrebbe potuto essere l’anno di Alexander Solgenitsin: lo scrittore è infatti morto il 3 agosto del 2008 ed è nato l’11 dicembre del 1918. Un decennale e un centenario silenziati e oscurati forse perché si tratta di uno scrittore che è stato fondamentale nella critica al comunismo ma anche nell’avversione agli intellettuali conformisti.
L’autore di Arcipelago Gulag risulta comunque scomodo, ieri per la sua denuncia della brutalità del regime sovietico oggi perché le sue idee sulla rinascita della patria Russia sono anche il substrato del successo di Putin e infine perché nel suo celebre discorso ad Harvard nel 1978 aveva parlato da autentico reazionario, mettendo sotto accusa una società che concede all’individuo «libertà infinite con nessun fine che non sia la soddisfazione dei suoi capricci». La sinistra non gli perdona la demolizione della Rivoluzione d’Ottobre, i liberal non digeriscono i suoi valori tradizionalisti. Ecco spiegato il silenzio inspiegabile di questo 2018, che si conclude incredibilmente senza tributi alla sua memoria.
Il clima che si respira attorno al grande scrittore russo dunque non è poi così diverso da quello degli anni Settanta, quando le librerie di sinistra in Italia esponevano cartelli con la scritta: “Qui non si vende Solgenitsin”, e la critica progressista lo definiva un autore oscure, mistico e oscurantista.
Solgenitsin era uno che di libertà negate se ne intendeva. Nel 1945 fu imprigionato in un gulag per aver criticato Stalin in una lettera privata. Nel 1955, scontata la condanna, fu mandato in esilio perpetuo in Kazakhistan. In seguito la pubblicazione dei suoi scritti fu vietata dall’Unione degli Scrittori sovietici. Il Kgb sequestrò i suoi manoscritti, la sua segretaria si suicidò dopo essere stata torturata dai servizi, lui sfuggì a un tentativo di avvelenamento, nel 1970 non poté ritirare il Premio Nobel.
Intanto il suo capolavoro Arcipelago Gulag era stato pubblicato in Occidente contribuendo a squarciare il velo di ipocrisia che avvolgeva la vita reale dell’Unione sovietica sotto la tirannia comunista. Solo dopo il 2000, malgrado la diffidenza con cui i suoi connazionali hanno continuato a trattarlo, Alexander Solgenitsin si è riconciliato con il suo amato Paese, dal quale è stato a lungo perseguitato come dissidente, incontrando il presidente Vladimir Putin.
Sarebbe importante riattualizzare oggi la sua difesa della democrazia dei “piccoli spazi”, così spiegata nel libro Come ricostruire la nostra Russia?: “La democrazia dei piccoli spazi è forte perché è diretta. La democrazia è veramente efficace là dove prevede il ricorso alle assemblee popolari e non alle assemblee rappresentative. Queste assemblee popolari si tenevano già ad Atene, e ancora prima di Atene”. In quel libro, ha sottolineato Gennaro Malgieri, Solgenitsin si muove all’interno di un universo organicista strutturato attorno ai corpi intermedi che lo scrittore individua nella famiglia, nel villaggio o città di appartenenza, nella categoria professionale. Attraverso questa strada Solgenitsin intendeva ritornare alle radici autentiche della tradizione della Russia, annientate dal sovietismo, e allo stesso tempo offrire un’alternativa alla inefficacia della democrazia parlamentare. “Il rispetto per la persona umana – sosteneva – è principio di gran lunga più ampio della democrazia, ed è esso che va incondizionatamente rispettato. Ma non è obbligatorio rispettare la persona umana nella sola forma del parlamentarismo.