Al Verano il viaggio della Memoria: Mameli, Acca Larenzia e le vittime del terrorismo
Passeggiare tra i visionari del Risorgimento, i ragazzi degli anni di piombo, le vittime del terrore, i patrioti delle grandi guerre. Come ogni anno, nel mese di gennaio, da 39 anni. In più di trecento hanno percorso i viali del cimitero monumentale del Verano, tra pietre e cipressi, per rendere omaggio ai fratelli caduti nel nome dell’Italia. Per cercare la vita, non per contemplare la morte.
Il viaggio della Memoria tra le pietre del Verano
Un percorso della memoria, un viaggio che affonda le radici nel sangue della storia nazionale per non dimenticare, certo, ma anche per ripartire, per attingere nuova linfa, per affrontare le bassezze della politica di palazzo, gli intrighi di “corte”, i compromesse, le pastette. Linfa per essere degni di quei caduti. Un evento che nel corso del tempo ha abbandonato la veste di cerimonia per “pochi intimi” per diventare un appuntamento corale, aperto a tutti, accogliente. Nel tentativo testardo di coinvolgere più italiani possibile, ben oltre le appartenenze politiche, le storie individuali, le vicende familiari, per diventare il giorno della memoria degli italiani accomunati dallo stesso ardore perché tutti gli uomini di valore sono e restano fratelli. Non militanti di una parte, di una fazione. Tutto comincia con poche decine di ragazzi del Fronte della Gioventù che nel 1980, dopo la strage di Acca Larenzia, il 6 gennaio si ritrovano quasi spontaneamente, con un tam tam a voce, a visitare le tombe dei ragazzi uccisi negli anni di piombo, accostandosi in punta di piedi alla tomba di Mario Zicchieri, “Cremino”, dei fratelli Mattei, di Franco Bigonzetti, di Alberto Giaquinto, con le sue scarpe da ginnastica bianche custodite come un cimelio nella cappella di famiglia, di Paolo Di Nella. Un fiore, un pensiero, un giuramento.
Centinaia tra uomini, donne e bambini da 39 anni
Oggi sono centinaia, anziani, giovani, bambini di pochi anni per una cerimonia sobria ma che scombussola la pancia. Niente di marziale, nessun simbolo di partito: un passo dietro l’altro ascoltando il respiro di chi ti è dietro, poi la sosta, la mano sul petto a impugnare il cuore, frammenti di poesie sussurrate al vento per riannodare i fili invisibili che uniscono storie scritte da piccole e grandi mani. Sulle note di un violino viene deposto uno scudo d’alloro davanti a tre sepolcri simbolici. La tomba di Goffredo Mameli, quella di Stefano Recchioni e il Sacrario dei caduti della prima guerra mondiale. Mameli, patriota e poeta, che a soli 21 anni venne ucciso durante l’assedio di Roma, a rappresentare il tormentato Risorgimento che costruì l’unita d’Italia. Poi la tomba a terra di Stefano Recchioni, sotto la scultura di mamma Silvana, il giovanissimo militante di Colle Oppio dagli occhi verdi e il cuore grande, ucciso ad Acca Larenzia dove era accorso dopo la notizia della morte di Ciavatta e Bigonzetti. Con Stefano si ricordano i ragazzi innocenti uccisi negli anni di piombo. Poche letture: uno scritto di Paolo Di Nella sull’appartenenza, la comunità, la rivoluzione popolare, qualche parola strappata a una pagina di diario di Stefano.
Da El Alamein a Nassiriya
Infine il Sacrario dei caduti della prima guerra mondiale per omaggiare il coraggio di chi ha sfidato l’impossibile. Soldati, vittime delle dittature, servitori dello Stato trucidati dal terrorismo e dalla mafia. Lì ci sono simbolicamente i ragazzi di El Alamein nella sabbia rovente, i soldati che marciavano sulle pietre ispide di Grecia e d’Albania, i ragazzi del ’99. E ancora i ragazzi di Salò, quelli della “parte sbagliata”, i “resistenti” alla dittatura che caddero con lo stesso impeto degli avversarti per un sogno di libertà, i soldati lasciati senza ordini, gli ebrei deportati, i prigionieri nei campi inglesi e americani. C’è l’Italia orgogliosa che palpitava nell’attesa di un ritorno dal fronte, le ausiliare, i medici, gli infermieri della Croce rossa militare, i volontari, gli operai, i giovani universitari irredentisti. Sotto le colonne a semicerchio del Sacrario ci sono gli innocenti uccisi nelle stragi di Stato, Brescia, Ustica, Bologna. Ci sono Falcone e Borsellino, i caduti a Nassiriya e nelle missioni di pace di mezzo mondo, quelli saltati per aria nelle discoteche e nei musei. Ci sono i figli d’Italia, perché si può essere patrioti tra le corsie di un ospedale, nella militanza politica, nel volontariato sociale o ambientale, nello svolgere onestamente il proprio lavoro, nelle aule sorde e grigie. Infine la bandiera tricolore regalata ai più piccoli, perché sappiano, perché rappresentano il futuro. In fila uno dietro l’altro, prendono il piccolo vessillo, sorridono e con gli occhi cercano i genitori. Scappano via ed esce un raggio di sole. “Ci rivediamo l’anno prossimo, gennaio 2020, vi aspettiamo ancora più numerosi”, dice una voce al microfono.