Caso Moro, l’ex-Sisde: «Dopo Battisti, la cattura dei terroristi è a portata di mano»
La cattura di Cesare Battisti può finalmente aprire il capitolo delle connessioni e delle connivenze politiche tra terrorismo rosso e politica. Di tanto almeno è convinto Carlo Parolisi, l’agente del Sisde che nel 1993, insieme a Mario Fabbri e a un altro agente sotto copertura, volò a Managua per una serie di incontri con Alessio Casimirri, che fu nel commando delle Br che il 16 marzo del 1978, in via Fani, rapì Aldo Moro dopo aver massacrato i cinque uomini della sua scorta. Il presidente della Dc fu poi ucciso un paio di mesi dopo, il 9 maggio, a seguito di una trattativa in cui non mancarono colpi di scena, depistaggi, omissioni clamorose ed errori grossolani.
Carlo Parolisi stava per catturare il br Casimirri
Quella missione a Managua poteva rivelarsi decisiva per fare chiarezza assoluta sulle ombre che da sempre accompagnano il cosiddetto “caso Moro“. E forse sarebbe accaduto se, lamenta Parolisi, «quel maledetto scoop dell’Unità» non avesse rivelato la collaborazione di Casimirri con i servizi segreti mandando tutto in fumo. E oggi l’ex-007, di quella missione, rivendica la giustezza: «Non fu un depistaggio, – dice – ma un’operazione di intelligence». Che, sostiene, fallì per la volontà di qualcuno che evidentemente aveva paura di quanto il terrorista avrebbe potuto rivelare. Ad introdurre la tesi del depistaggio sul viaggio in Nicaragua è stato Sergio Flamigni, scrittore e più volte parlamentare comunista, che nel suo libro Il quarto uomo del delitto Moro fa sua la ricostruzione dello studioso Giuseppe De Lutiis, secondo cui il viaggio del Sisde in Nicaragua non era visto «a più alto livello come realmente inteso a ottenere l’espulsione di Casimirri» ma «ad acquisire informazioni o a tranquillizzare il terrorista», se non, addirittura, «a depistare la magistratura romana sull’identità del quarto uomo di via Montalcini».
L’intelligence oggi indispensabile nella caccia ai latitanti
Ricostruzione contestata da Parolisi parola per parola: «Non fummo inviati in missione, ma costruimmo noi stessi le premesse per effettuarla, nonostante i forti dubbi espressi dai vertici del Servizio». Per l’agente del Sisde, quella ricostruzione è il «frutto di un pregiudizio, una forzatura non dovuta» dovuta alla mancanza in Italia di «cultura dell’intelligence» e dei servizi, cui vengono associati a trame e depistaggi. Prova nei sia, per Parolisi, che «si accetta come una cosa normale che Morucci abbia collaborato con l’autorità giudiziaria», mentre «una collaborazione con i servizi evoca trame oscure». Invece, spiega ancora Parolisi, nella nuova guerra dichiarata ai latitanti degli Anni di piombo, l’apporto dei servizi non sarebbe da sottovalutare.