Quanta fretta col “fascista” (innocente) Pagliai, quanti strani ritardi con Battisti…
Strano davvero che a nessuno dei grandi giornalisti italiani d’assalto, cronisti d’inchiesta, sempre coraggiosamente pronti a disturbare commemorazioni funebri private pur di avere un miserevole scoop da sbattere sui loro giornali, o sempre pronti ad andare a infiltrarsi in manifestazioni politiche sperando di suscitare una reazione – meglio se violenta – da parte di persone esasperate da continue provocazioni che con il giornalismo non hanno nulla a che fare, strano, dicevamo, che a nessuno di questi protagonisti dei talk show televisivi, antifascisti in servizio permanente effettivo, sia venuto in mente di collegare la vicenda Battisti a una per molti versi analoga – fatta salva la diversa caratura dei personaggi – accaduta nell’ormai lontanissimo ottobre 1982, ma che vide una conclusione molto diversa e drammatica rispetto a quella di queste ore. I fatti accaddero sempre in Bolivia, sempre a Santa Cruz de la Sierra, l’operazione fu sempre condotta dai nostri Servizi, anche se allora si chiamavano in modo diverso, e il protagonista era sempre un latitante ricercato dallo Stato italiano. Tante, troppe analogie. Che comunque si fermano qui, perché il ragazzo ricercato allora che i nostri servizi erano andati a prendere si chiamava Pierluigi Pagliai ed era un aderente di Avanguardia Nazionale. Il giovane milanese 28enne, però, non era stato condannato per quattro omicidi e reati vari, come cesare Battisti, no; anzi, non era mai stato condannato per nulla. L’unica colpa effettiva che in quel momento aveva era renitenza alla leva. Un po’ poco per essere giustiziato con due colpi alla nuca dai poliziotti boliviani e dai nostri servizi davanti a una chiesa, e dopo che aveva messo le mani sulla testa il segno di resa. Pagliai fu portato al locale ospedale, poi a La Paz, ma le sue condizioni apparvero subito disperate. Caricato a forza e contro il parere dei medici, dagli emissari italiani su un aereo della nostra compagnia di bandiera Alitalia, il Giotto per la precisione, Pagliai morì pochi giorni dopo senza aver ripreso conoscenza. Era un ragazzo innocente, colpevole solo di avere idee estremistiche (ma è poi una colpa?), eppure è stato ucciso come un cane. Perché? La spiegazione è di una tragica chiarezza: perché era considerato un “fascista”, che alle orecchie di molti politici, magistrati, giornalisti, è peggio che essere un pluriomicida: un fascista è la sentina di tutti mali. E ancora oggi c’è chi la pensa così. E poi per Pierluigi Pagliai non ci fu nessun Soccorso Rosso, non ci furono schiere di avvocati, deputati, attori, scrittori, giornalisti, ricchi radical-chic che levarono la voce per il suo omicidio. Semplicemente, non aveva il diritto di esistere: “uccidere un fascista non è reato”. E così fu.
I Servizi non riuscivano a trovare colpevoli per Bologna
Ma naturalmente anche questa vicenda va contestualizzata: mettiamoci nei panni del governo italiano, mettiamoci nei panni degli inquirenti di allora. Il 2 agosto 1980, ossia due anni prima, c’era stata la strage di Bologna, e prima molte altre bombe, tutte di autore ignoto. I media avevano immediatamente – quanto ingiustificatamente – puntato l’indice contro la destra eversiva, la tensione era ai massimi livelli. Ma soprattutto non si riusciva a cavare un ragno dal buco: non si trovavano i colpevoli, non si trovava una pista, furono effettuati centinaia (e non è un modo di dire) di arresti di neofascisti (poi tutti rilasciati senza neanche scuse), fatte migliaia di perquisizioni e di interrogatori, ma il colpevole non veniva fuori. La pista estera non fu neanche pres ain considerazione, perché si doveva trovare il fascista. Immaginiamo che il Viminale fosse fuori di testa, con le pressioni politiche che esigevano a tutti i costi un colpevole. Così, con l’onda emozionale della caccia al fascista, e con la stampa che di qualsiasi reato e nefandezza accusava il solito Stefano Delle Chiaie, capo di Avanguardia Nazionale, la strategia più semplice fu quella di colpire in quella direzione, tanto più che l’intellighentsia pseudo culturale italiana era da quella parte. Delle Chiaie, poi, da tempo era dovuto riparare in Bolivia, insieme ad altri camerati tra cui lo stesso Pagliai, per sfuggire alla persecuzione indiscriminata contro il mondo della destra. Delle Chiaie poi, accusato di tutto quasi in maniera ridicola, riusciva sempre a beffare i Servizi, che ce l’avevano molto con lui. Così, dopo la naufragata operazione Pall Mall dei nostri Servizi, tesa alla cattura di Delle Chiaie, se ne varò un’altra, l’operazione Marlboro, sempre per catturare il leader di Avanguardia, che peraltro, essendo latitante, non poteva difendersi convenientemente. Ancora oggi non si conoscono i dettagli dell’operazione, ma secondo le testimonianze che siamo riusciti a raccogliere, il commando delle nostre teste di cuoio era composto dalle 20 alle 30 persone, anche se qualche fonte parla di 80 elementi, che agirono in collaborazione con la polizia boliviana e con agenti della Cia americana, chissà poi perché. Tra l’altro pare che gli americani abbiano collaborato anche nell’operazione-Battisti. E anche la città è la stessa. Va detto che sulle dichiarazioni non verificate di qualcuno, la magistratura italiana emanò mandati di cattura per strage nei confronti di Delle Chiaie, Pagliai e altri. Un ufficiale della polizia boliviana, che aveva buoni rapporti con Pagliai, gli dette appuntamento davanti alla chiesta di Nuestra senora del Carmen a Santa Cruz, e quando questi arrivò fu subito circondato da almeno trenta carabineros con le armi in pugno. Pagliai alzò subito le mani mettendole sulla testa in segno di resa, ma fu centrato da due proiettili in testa. Come detto, fu portato prima all’ospedale di Santa Cruz, poi a quello della capitale La Paz, operato dal professor Brunn, medico dell’ambasciata Usa, e caricato, contro il parere dei medici, sull’aereo diretto in Italia. Addirittura l’ambasciatore americano ottenne il decreto di espulsione dal governo transitorio boliviano pagò i diritti aeroportuali pur di accelerare la partenza.
Per Pagliai Staiti e Pannella accusarono il premier Spadolini
Dopo un periodo di confusione, anche mediatica, e poiché anche allora non c’era nessuno che difendesse i “fascisti”, il deputati Tomaso Staiti del Msi e Marco Pannella dei radicali, misero in stato di accusa l’allora presidente del Consiglio Giovanni Spadolini, che dette il via libera all’operazione d’intesa col ministro dell’Interno Virginio Rognoni, ma il procedimento fu archiviato rapidamente. Fu solo grazie alle successive dichiarazioni processuali del prefetto Parisi se qualcosa in più sulla vicenda si seppe. Ma altrettanto rapidamente si dimenticò. Vogliamo qui ricordare una lettera del padre di Pagliai, Alberto, al direttore di Repubblica Scalfari, nel quale Alberto Pagliai contesta quanto scritto dal quotidiano, ossia che Pierluigi fosse un terrorista, e sottolineando il fatto che fosse incensurato. In conclusione, siamo di fronte ancora una volta a un comportamento doppiopesista da parte delle nostre istituzioni tra destra e sinistra. La prova? Eccola: Perché i nostri Servizi non sono andati in Brasile a prendere Achille Lollo, il ricco terrorista di Potere Operaio che bruciò vivi un ragazzo e un bambino perché fascisti, mentre i Servizi italiani si sono precipitati tempestivamente con un C-130 militare in Costa Rica nel 1979 per prendere in consegna Franco Freda che vi si era rifugiato? Così come perché sono volati in Bolivia a prendere Pagliai, innocente fino a prova contraria, ma non hanno mai ritenuto di volare in Brasile a catturare Battisti, condannato definitivamente? La risposta è sin troppo chiara.
Sosteniamo SALVINI che è riuscito a riportare nelle patrie galere italiane un pluriassassino comunista: era ora.
La sinistra tutta sta pagando a caro prezzo le sue malefatte, ben gli stia. Le prossime votazioni saranno ancora un “liscia e busso” per la loro prepotenza e arroganza
Avete fatto bene a ricordare questa brutta vicenda!