Sotto quelle toghe c’era il tricolore: i ritratti dei 27 magistrati assassinati in Italia

23 Gen 2019 20:37 - di Antonio Pannullo

Ritratti del coraggio (Lo Stato italiano e i suoi magistrati – Edizioni Nuova Scienza, Roma, novembre 2018, pp. 242, euro 12,50) è il titolo del libro presentato oggi presso la sala della Fondazione Alleanza Nazionale a Roma in un dibattito di altissimo livello. Al convegno hanno partecipato il presidente della Fondazione, l’avvocato e senatore Giuseppe Valentino, Stefano Amore, magistrato e curatore del volume, Paola Balducci, avvocato e membro del Csm dal 2014 al 2018, Giuseppe Bianco, sostituto procuratore del tribunale di Roma, Fabio Massimo Gallo, presidente della sezione civile della corte d’appello di Roma, Gennaro Malgieri, giornalista e scrittore, già parlamentare e direttore del Secolo d’Italia, Manuela Metri, regista teatrale e attrice. Ha moderato l’incontro il giornalista Roberto Rosseti, già vice direttore del Tg1. Come di consueto in queste manifestazioni, il presidente Valentino ha fatto gli onori di casa, svolgendo una breve introduzione al doloroso argomento. Mai titolo fu più adeguato, ha detto Valentino, perché questi uomini furono coraggiosi in quanto hanno fatto il loro dovere sino in fondo. Qui non siamo di fronte solo a personaggi famosi, sovraesposti mediaticamente, ma anche a persone “oscure”, che facevano solo il loro lavoro. Ricordando quegli anni, che Valentino ha vissuto da protagonista, sia come legale sia come esponente di partito, il presidente ha sottolineato che lo Stato che questi uomini servivano, in realtà non li ha tutelati, non fu abbastanza forte, anzi, fu debole, altrimento quelle tragedie non sarebbero successe. Per il senatore Valentino oggi è più che mai importante ricordare il sacrificio di questi uomini soprattutto nelle scuole, e soprattutto in considerazione del fatto che oggi la scuola è in crisi culturale. L’attrice Manulea Metri ha poi letto l’ultima, vibrante, pagina del libro in un clima di intensa commozione.

“Quei magistrati hanno a lungo contemplato la morte”

Roberto Rosseti ha punteggiato gli spazi tra un relatore e l’altro, con acuti interventi, con ricordi personali, con aneddoti, con considerazioni che derivano da una lunga esperienza personale e politica. Rosseti, come altri, ha anche ricordato l’omicidio di Guido Rossa, di cui ricorre l’anniversario, chiedendosi: ma lo Stato ha sempre difeso i suoi servitori? Gennaro Malgieri ha aperto la serie degli interventi con una disamina brillantissima di quegli anni e del ruolo del magistrato in uno Stato. E per farlo ha citato un libro di John F. Kennedy, dal titolo molto simile, Profiles in courage, del 1956. Tra l’altro, ha ricordato Malgieri, il libro fu tradotto, pensate un po’ dalla casa editrice del Borghese. C’è affinità tra queste due coraggiose opere, per quanto riguarda l’etica ma anche l’estetica del magistrato, ha detto il giornalista. Quei 27 magistrati, ha considerato ancora Malgieri, ci hanno rimesso la vita solo per essere stati loro stessi; Giovanni Falcone infatti venne a lavorare a Roma non per conquistare medaglie ma perché credeva che lavorando in quella sede avrebbe svolto meglio il proprio lavoro, e in effetti così fu. “Questi magistrati – ha detto – hanno a lungo contemplato la morte: ma era non un contemplare ascetico, ma laico. In una parola, erano vocati a fare questo mestiere”. Questi uomini, morendo, hanno vinto la loro battaglia, perché si sono guadagnati l’eternità, ha considerato Malgieri, che ha aggiunto che in realtà lo Stato non si è mai arreso, neanche nei momenti più bui, perché i suoi servitori gli hanno fatto da scudo. Malgieri ha poi ricordato una famosa intervista di Falcone a un giornale francese, in cui disse che “si muore sotanzialmente perché si è troppo soli”. Come ci insegna l’antica Roma, la magistratura è uno dei pilastri dello Stato, anche del nostro Stato. Ha concluso Malgieri: è vero, i morti non parlano, però non parlando essi ci interrogano, come dei custodi che sono morti per difendere noi.

Quel filo rosso tra magistrati e solitudine

Roberto Rosseti ha poi invitato sul palco la figlia di un giudice assassinato, Antonino Scopelliti, raccontandole anche che lui era un giovane giornalista a cui toccò raccontare le circostanze dell’omicidio. La giovane Rosanna Scopelliti ha ricordato la figura del padre, e con lui di tutti i magistrati, di come lui considerasse la toga la sua seconda pelle, ma sotto quella toga – ha detto – c’era il tricolore. Anche lei, che presiede la Fondazione dedicata al padre, ha messo l’accento sulla solitudine dei magistrati: ogni mattina, uscendo, usciva come se andasse in guerra. Successivamente il curatore del volume Stefano Amore ha raccontato come in venti magistrati avesser elaborato quest’opera, che vuol essere sì un omaggio ai colleghi assassinati ma anche uno stimolo affinché in questo Paese non si perda la memoria. Dietro ogni politica, ha detto, c’è infatti un’identità, identità che si sta perdendo: negli anni scorsi, ha rimarcato, c’era più amore per l’interesse nazionale, augurandosi che ci sia una profonda riflessione su questi 27 uomini, perché la memoria non è sterile ma è la base dell’oggi. “Questi uomini – ha detto – hanno difeso la loro comunità, ed erano consapevoli che sarebbero potuti morire, così come lo è un ragazzo che parte volontario per il fronte: si sacrifica per gli altri”. Amore teme che ci sia il rischio di perdere, con l’identità, anche la patria, perché oggi in Italia non c’è più questo senso di appartenenza. C’è il rischio che tra venti o trent’anni se a un giovane si chiederà “sei italiano?”, quello possa rispondere, “ma, non lo so”. Amore si augura che presto un gruppo politico o culturale si dedichi attivamente a recuperare e a spiegare il significato di questa nostra Italia. L’avvocato paola Balducci, ex parlamentare nonché membro del Csm per quattro anni, ha parlato della sua esperienza nell’organismo dei magistrati e di questa doppia veste di avvocato e magistrato. Per lei la cosa più importante è la coerenza, politica e professionale, senza la quale si perde la credibilità. Balducci ha ricordato anche la sua esperienza in Sicilia, apprezzando il filo rosso che lega i magistrati alla solitudine. L’avvocato Balducci ha anche sottolineato di aver contribuito alla desecretazione degli atti riguardanti la vita di Falcone e Borsellino, citando anche la figura di Francesca Morvillo, che non era solo la moglie di Falcone, ma un magistrato attivo e bravo. Anche la Balducci ha insistito sul concetto di memoria e sulla necessità di trasmettere certi messaggi alle nuove generazioni.

Alcuni magistrati temono che il terrorismo non sia morto

Giuseppe Bianco, magistrato a Roma, ha espresso il timore che quei tempi bui possano tornare, considerando alcuni preoccupanti segnali emersi negli ultimi tempi.  Come un volantino delle Br trovato recentemente a Sesto San Giovanni, o certi messaggi enfatici apparsi sui social in morte di Prospero Gallinari, messaggi che poi si è scoperto essere stati scritti da un esponente dell’Anpi, che certo non contribuisce alla pacificazione. Oppure il Premio a Renato Curcio che si voleva dare con una giustificazione speciosa. Siamo proprio sicuri, si è chiesto anche Bianco, che le nuove generazioni abbiano gli strumenti culturali adatti a sfuggire a questo tipo di trappole? Bianco ha poi parlato dellla teoria della continuità della lotta armata dai partigiani ai terroristi. E ha concluso con una grande considerazione, ossia che in questa nazione si parla più di Caino che di Abele, ed ecco lo spirito del libro, che parla più delle vittime che dei carnefici. Ha concluso la serie degli interessantissimi interventi Fabio Massimo Gallo, magistrato alla corte d’appello di Roma e uno dei coautori del volume, sottolineando che lo scopo dell’opera è quello di lodare il coraggio di questi magistrati ma anche quello di mandare un forte monito alle giovani generazioni, ricordando che insieme con questi giudici sono morti altri, gli uomini della scorta e altre persone innocenti che hanno pagato con la vita la loro vicinanza a questi coraggiosi magistrati. Gallo, ha raccontato, era di turno insieme a due colleghi quando giunse la notizia dell’assassinio di Minervini, ucciso sull’autobus con una pistola silenziata. Dopo aver raccontato la circostanza, Gallo ha ribadito che il primo compito dello Stato oggi è l’educazione dei giovani, e questa si fa in famiglia e a scuola, perché è anche capitato che in occasione della morte naturale di un magistrato, i No Tav abbiano gioito con scritte sui muri: “Un nemico di meno”. Insomma, è stata la allarmante conclusione di Gallo, forse il terrorismo non è del tutto morto in Italia, perché ci sono segnali preoccupanti.

Vogliamo qui ricordare l’elenco dei 27 magistrati uccisi la cui storia si può trovare nel libro: Agostino Pianta, Pietro Scaglione, Francesco Ferlaino, Francesco Coco, Vittorio Occorsio, Riccardo Palma, Girolamo Tartaglione, Fedele Calvosa, Emilio Alessandrini, Cesare Terranova, Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Guido Galli, Mario Amato, Gaetano Costa, Giangiacomo Ciaccio Montalto, Bruno Caccia, Rocco Chinnici, Alberto Giacomelli, Antonino Saetta, Rosario Livatino, Antonino Scopelliti, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino, Luigi Daga,Fernando Ciampi. E onore a tutti gli autori che hanno contribuito alla realizzaione di questo libro.

Il convegno è stato seguito da Radio Radicale, sul cui sito web si può rivedere per intero.

Commenti

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  • Giovanni Nuvoli 29 Gennaio 2019

    oltre a questi, esistono magistrati che vendono le sentenze, ottengono favori sessuali, altri trovati in bagno a giocherelare con il pene di un ragazzino, altro che spalma nutella nelle toilette del tribunale di TempioPausania, altri che intrettengono relazioni con la moglie dell’ imputato ecc ecc ecc. ma cosi tanti, da riempire una enciclopedia.
    Il CSM in genere perdona, in quanto difficilmente cane mangia cane oltre alla certezza che, sbagliano, continuano a sbagliare ma sono “immuni” da quasivoglia responsabilita’.
    Il primo problema e pericolo per il poco che rimane di democrazia in Italia, e’ il sistema giudiziario ed i magistrati, che sono, nella sostanza, una vergogna nazionale.

  • windniw 25 Gennaio 2019

    onorarli ora non serve
    bisognava difenderli prima