Anni ’30, reportage di un’Italia in prodigiosa crescita dal nostro inviato… Giuseppe Ungaretti

23 Feb 2019 17:17 - di Massimo Pedroni

Giuseppe Ungaretti  è uno tra i poeti italiani più rappresentativi  del  ‘900. Nasce ad Alessandria d’Egitto il 10 Febbraio 1888 da una coppia di emigrati italiani della zona di Lucca. Partecipa alla “Grande Guerra” come soldato semplice sul fronte del Carso. Nei vortici di dolore e speranza della quotidiana durissima  vita di trincea si leva il suo canto poetico, che troverà riscontro nella pubblicazione della sua prima opera in versi “Porto sepolto”. Pubblicazione avvenuta, grazie al’interessamento del giovane Ufficiale Ettore Serra suo commilitone. Raccolta poetica per la quale richiese, e ottenne la prefazione di Benito Mussolini per l’edizione del 1923. Desideriamo porre all’attenzione dei lettori, non aspetti della incisiva produzione poetica dell’autore, ma aspetti della sua attività giornalistica. Attività nella quale si era cimentato, da quando nel febbraio del 1919 aveva accettato l’incarico di corrispondente da Parigi de“Il Popolo d’Italia”. Impegno rinnovato negli anni ”30 del secolo appena trascorso  con il quotidiano torinese “La Gazzetta del Popolo”. In un primo tempo il suo contributo fu sviluppato su tematiche specificatamente poetiche “ Un poeta non è mai fuori del suo tempo, è un uomo, l’uomo che ha sempre sofferto e gridato per tutti.”

Estro creativo

In seguito nel cuore degli anni Trenta, ebbe modo di dispiegare il suo estro creativo come “inviato”di quella testata. Nell’adempimento del suo incarico di “inviato” si recò in vari luoghi italiani ed esteri. Per quanto riguarda la nostra Nazione, scrisse nei suoi “racconti di viaggio”, del Mezzogiorno, del Polesine, delle Puglie e dell’Etruria. Estese porzioni del territorio erano ancora paludose.  La possibilità di contrarre la malaria, era molto probabile per chiunque. Motivi che inducevano gli organi distampa a interessarsi di queste tematiche. Erano gli anni nei quali Mussolini, e il Governo da lui presieduto, nel quadro complessivo di modernizzazione dello Stato, aveva abbracciato, nel campo dell’agricoltura la politica delle Bonifiche integrali. L’Italia, fuquindi seconda solo ai Paesi Bassi, in tema di recupero di territorio alla produzione. Garantendo con ciò anche  la salute pubblica. Fiandre e Olanda, non a caso furono tappa di queste“Prose di viaggio”. A fronte, della innegabile energia innovativa che il Governo stava sprigionando, il critico Pietro Pancrazi  poteva dire: “il regime aveva le sue buone ragioni per favorire nel giornalismo viaggiante (e anche in quello di casa)un’inflazione letteraria”.

Filiera di immagini

E seguendo la filiera di immagini che ci propone Ungaretti, nella veste di cronista d’eccezione, respiriamo il clima di entusiastico stupore che ci viene trasmesso quando parla di Foggia e della Puglia: “L’acquedotto non c’era. Questi Pugliesi a furia di sperare e gridare avevano ottenuto che si cominciasse a costruire. Questo lavoro da Romani era stato intrapreso: l’uomo, così forte, come dicono i Santi … aveva raccolto e alzato nelle sue povere  braccia un fiume, l’aveva con una grazia mitica volta dall’altra parte del monte”.Ungaretti in queste “Prose di viaggio”, esaltava la sua sensibilità, annusando magistralmente la storia del luogo dove si trovava. In questo caso Lucera con il suo passato Federiciano. “Di Federico II non è rimasto se non un enorme slancio di pietre come una cappa sbranata che sta su per miracolo. Un movimento raccapricciante di pietre paragonabile per audacia solo alla volta della Basilica di Massenzio”. Poche righe per assaporare climi atmosfere, distanti dall’ordinario. Parlando di Bonifiche, non è cosa di poco conto. Al Poeta è mancato un riconoscimento, autorevole, prestigioso, che avrebbe meritato tutto. Ma forse per motivi extraletterari, non gli fu assegnato.Quanto meno un certo senso di stupore serpeggiò nella società letteraria, nell’apprendere l’assegnazione del Premio Nobel nel 1959 a Salvatore Quasimodo. L’opinione prevalente era, che se il Nobel doveva essere assegnato a un poeta italiano, questi non poteva essere che Giuseppe Ungaretti. Certo il suo essere tornato in Italia,dopo un duraturo soggiorno in Brasile, in pieno conflitto bellico, tenendo le sue lezioni all’Università, addirittura in camicia nera,costituivano elementi che, agli occhi della Giuria di Stoccolma non deponevano a suo favore. Se poi si andava a  rivangare sull’autore della prefazione fatta alla edizione del 1923 di “Porto sepolto”, l’ipotesi di assegnazione del Premio era assolutamente esclusa. Il “politicamente corretto”, già faceva capolino, tra il frusciare del conformismo di ogni epoca.   ​

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