Il destino di Giovanni Folchi, l’aviatore della Rsi fucilato nel febbraio 1946 nell’Italia “liberata”…
Di Giovanni Folchi, aviatore italiano della Repubblica Sociale Italiana, fucilato a Milano il 7 febbraio del 1946, a guerra ampiamente finita, abbiamo poche notizie. Tutto ciò che si sa di lui lo si deve al libro del giornalista Luca Fazzo L’ultimo fucilato – Fascisti, partigiani, giudici e voltagabbana nell’Italia della liberazione – Edizioni Mursia, oltre che da diversi articoli di il Giornale che se ne è occupato in diverse occasioni. Certamente fu l’ultimo fucilato a Milano, perché l’anno successivo, il 5 marzo del 1947, furono fucilati alla Spezia altri tre aderenti alla Rsi, mentre il giorno prima, a Torino, erano stati fucilati tre delinquenti comuni. Insomma, nell’Italia “liberata” e antifascista non si andava tanto per il sottile in quanto a esecuzioni. I tre della Rsi uccisi alla Spezia erano Emilio Battisti, Aurelio Gallo e Achille Morelli. Come è noto, la pena di morte sarebbe stata abolita di lì a poco, e per questi il Partito comunista organizzò alla Spezia una manifestazione perla fucilazione, dando a intendere che altrimenti ci satrebbe stato un linciaggio. Addirittura, dopo la sepoltura dei tre, esagitati comunisti vollero diseppellire le bare per vedere i cadaveri. Era questo il clima che si respirava in Italia in quei mesi. In tutto, le fucilazioni di queste corti d’assise straordinarie furono 91.
Tornando a Giovanni Folchi, anch’egli probabilmente incappò in questa atnmosfera da giustizia sommaria: dipinto come un torturatore, un aguzzino, Folchi era un paracadustista aggregato all’aeronautica repubblicana, appartenente alla Brigata Azzurra dei parà. Milanese, classe 1916, si iscrisse presto ai Guf e nel 1936 prese il brevetto all’Accademia aeronautica di Caserta diventando sottotenente. Dopo l’inizio della guerra, partecipò alla Campagna di Grecia. L’armistizio lo colse nel Balcani, dove Folchi rifiutò di passare dall’altra parte della barricata e rimase al fianco dell’alleato germanico. Nel febbraio successivo aderì alla Repubblica Sociale. Fu utilizzato dapprima presso l’aeroporto di Venaria Reale e successivamente al IX Battaglione antiparacadutisti al comando di De Biase, che si trovava a Milano. Dopo il 25 aprile fu arrestato dai partigiani, anzi, si consegna lui stesso un po’ ingenuamente, e rinchiuso a San Vittore. Processato in agosto dalle solite corti di assise straordinarie fu riconosciuto colpevole e fucilato nel febbraio successivo. A settembre e a ottobre ci furono gli altri gradi del processo e la Cassazione rifiutò la revisione del processo malgrado la Procura avesse dato parere favorevole. Tempi rapidissimi, per la giustizia italiana. A gennaio il ministro della Gustizia Palmiro Togliatti, che pure fu l’autore delle omonime amnistie per fascisti a partigiani, dette l’ok all’esecuzione. Folchi fu condannato sulla base delle testimonianze di dieci partigiani nonché di un ex repubblichino convertitosi alla lotta partigiana. Uno di questi partigiani, ancora vivente, lo accusò di torture e sevizie dopo che lui e il suo gruppo di partigiani avevano ucciso un milite della Brigata Azzurra a Porta Romana. Fu per questi successivi rastrellamenti dei militi della Rsi e delle SS tedesche che Folchi fu condananto a morte. Forse, racconta ancora il Giornale, le testimonianze dei partigiani non sarebbero bastate se appunto non si fosse unito alle loro voci quella di tale Fiocchi, un ex ufficiale della Rsi, della Brigata Azzurra, che all’arrivo dei partigiani era subito diventato antifascista, addirittura sfilando per Milano con le bande partigiane. Poi disse che in cuor suo aveva sempre tenuto per la resistenza…