La “parola” di Salvini: conta di più quella data al popolo o al Palazzo?
Sarebbe molto bello capire che cosa intende dire Matteo Salvini con il suo ossessionante “ho dato la parola”. Che da una parte è un principio molto bello, perché significa voler mantenere un impegno; dall’altra significa poco perché a Palazzo si sta per governare bene; e quando l’alleanza barcolla ogni volta che si vota non ha molto senso affermare di aver dato una parola che gli elettori non sentono come rivolta a loro non appena entrano nel seggio elettorale.
Va detto con il massimo del garbo e del rispetto nei confronti del ministro dell’Interno, che è leader di spessore: se la tua parola è quella data a Di Maio, per gli italiani non conta un fico secco. Perché finora ha provocato recessione, che in economia e per le tasche di Pantalone è una parola bruttissima. Tutto questo per il mantra del reddito di cittadinanza, altra roba indigesta ai più e che chi lavora deve ingoiare.
A Repubblica Salvini ha insistito anche oggi, dicendo stavolta di aver dato addirittura “la parola” ai cittadini. Veramente i cittadini non hanno mai potuto dire nell’urna quello che pensano dell’alleanza Lega-Cinque stelle, perché dal 4 marzo (politiche incluse) hanno votato nell’ordine: Friuli, Trento, Bolzano, Molise, Abruzzo, Sardegna e mai e poi mai hanno fatto vincere una coalizione diversa dal Centrodestra. A quali cittadini ha dato la parola il leader della Lega?
Occorre fermarsi a riflettere invece, perché a Palazzo Chigi governa una maggioranza che nel territorio non gode di alcun consenso e sei elezioni su sei lo hanno già dimostrato. Tutto questo crea tensioni anche a livello locale, basti pensare alla pretese contrapposte – quasi alla ricerca di rotture, pretesti, scuse per mandare tutto all’aria – che in queste ore si sono registrate in Abruzzo tra Lega e Forza Italia. Lasciate decidere a Marco Marsilio, invece, su cui vi esercitaste nel tiro al piccione prima della designazione come candidato presidente e che poi ha trionfato alle elezioni. A che serve litigare su tre o quattro assessori della Lega? Ma avete tutti questi campioni già rodati nel buongoverno regionale? (Il che vale ovviamente anche per i due pretesi da Forza Italia).
Concentrarsi invece su quello che vuole realmente il popolo, caro Matteo, e inevitabilmente si torna a Palazzo Chigi: quando a marzo si votò, gli elettori italiani chiesero cose ben precise; anzi, fu proprio il Centrodestra a metterle nero su bianco nel programma.
Ricordiamole, con onestà: meno tasse, sviluppo e opere pubbliche, legittima difesa e lotta all’immigrazione clandestina. Di tutto questo merita un premio solo l’ultimo punto, pur se abbiamo dovuto conoscere lo psicodramma grillino legato al destino di Salvini su una incredibile inchiesta della magistratura relativa a politiche di governo.
La parola data sta scritta in un programma elettorale che poi è stato ribadito in altre sei elezioni territoriali vincendo sei volte su sei. Dover restare appesi ad un contratto di governo che è solo roba di Palazzo – per di più minoritaria a livello popolare – è qualcosa che testimonia al massimo testa dura. Una dote, indubbiamente, che si infrange però con i diritti di un popolo.
Pensarci. Ripensarci.