Vite straordinarie/ Teseo Tesei, l’elbano che sfidò Albione
Morire in mare, sul mare, sotto il mare. Morire cercando di sfondare una rete di ferro per aprire un varco e assaltare un porto impenetrabile. Con lucida determinazione, senza rimpianti, senza tentennamenti in una missione impossibile, praticamente senza ritorno. Non è un film, non è un artifizio letterario. È successo davvero. Il 25 luglio 1941, nelle acque di Malta, un pugno di coraggiosi “osarono l’inosabile”. Alla loro testa l’elbano Teseo Tesei, un personaggio straordinario, leonardesco.Piccolo ricordo privato. Tesei era uno dei miti di mio padre, veterano della “Seconda” nella Regia e amico di Spartaco Schergat, uno dei violatori di Alessandria, medaglia d’oro ed esule (come mio padre) dall’Istria. Da bimbo, a Trieste, ascoltavo Schergat narrare — con molta ritrosia e tanta umiltà — l’impresa. In quelle sere un nome sempre tornava: Teseo Tesei. Poi i film all’oratorio — al tempo posti allegri con preti non imbarazzanti — per vedere e rivedere “I sette dell’Orsa Maggiore”, “Siluri Umani”, “L’affondamento della Valiant”. Vecchi film — i religiosi riciclavano con parsimonia le pellicole — eppure entusiasmanti, coinvolgenti. Ancora una volta Tesei.
Negli Ottanta, a Milano intervistai Oreste Del Buono, uomo di vivace intelligenza e grande empatia. Con Fulvia Serra, l’Oreste stava preparando un ottimo prodotto editoriale “Corto Maltese”, un inno all’avventura, all’ardimento, al coraggio. Una rottura con la menata della massa, del collettivo. In più era il nipote di Tesei. L’eroe del mio babbo…. Un’occasione unica per sapere, capire. Al suo nome gli occhi di Del Buono s’accesero e dimenticammo l’intervista per parlare a lungo del personaggio: «non era un fanatico e tanto meno un suicida nihilista, ma un uomo umanissimo, nemicissimo della retorica, che non temeva la morte, la considerava al posto giusto… se tornasse dall’aldilà non approverebbe quasi nulla di quanto si è detto su di lui. O forse, con la sua autoironia, ci si divertirebbe un mondo…».
Un eroe elbano, un personaggio arci italiano
Tutto iniziò, come narra l’agile libro di Cristina Di Giorgi “Teseo Tesei, all’assalto della gloria”, nel 1934 nel golfo di La Spezia quando Tesei e Elios Toschi, giovani ufficiali del Genio Navale, s’intestardirono — memori dell’incursione della “mignatta” a Pola nel 1918, coronata dall’affondamento dell’asburgica corazzata Viribus Unitis — a ragionare su un’arma rivoluzionaria: il Siluro a Lenta Corsa, per gli addetti ai lavori semplicemente il “maiale”. L’idea di un mezzo subacqueo guidato da due operatori, capace di penetrare furtivamente nelle basi nemiche e affondare le navi nemiche alla fonda — uomini contro corazzate: una riedizione nostrana del Davide contro Golia — sembrò interessare anche i molto conservatori navarchi romani che, tra molti dubbi, autorizzarono i due geniali ingegneri a proseguire gli studi e costruire dei prototopi.
Furono anni di prove, fallimenti, altre prove e nuovi fallimenti e lunghe pause e pochi pochi soldi. Nulla d’inedito. In terra come in mare e al netto della propaganda bellicista, il regime — si leggano i poderosi volumi dell’Ufficio Storico della Marina o le annate di “Rivista Marittima” — si affidò ad un modello militare sorpassato, obsoleto. Con l’avallo di Mussolini, l’ammiraglio Domenico Cavagnari, il dominus della Regia Marina, ignorando le lezioni degli innovatori della Grande Guerra — Rizzo, Rossetti, Paolucci, Ciano senior, Pignatti — rimase concentrato sulla spettacolarizzazione della potenza navale — enormi corazzate, grossi calibri, niente portaerei e tante parate — e lesinò investimenti ed attenzioni alle iniziative assimetriche, non convenzionali. Un problema culturale prima che ancora che militare.
Finalmente operativi nel 1938, i “siluri umani” vennero affidati ad un selezionatissimo reparto d’incursori imbucato a Bocca di Serchio, la base top segret della futura X Mas (la denominazione ufficiale arriverà il 14 marzo 1941). Prese così forma così in quell’angolino di Toscana la saga di Tesei, Toschi, Birindelli, Durand de La Penne, Franzini, Centurione, Stefanini, Falcomatà e poi di tutti gli altri brothers in arms che seguirono il loro esempio. Iniziò allora una corsa contro il tempo: mentre i venti di guerra spiravano sempre più forte, gli “apostoli di Tesei” intensificarono sino allo spasimo gli addestramenti in mare, ad ogni ora e con ogni tempo, e perfezionarono (per quanto possibile) armi e materiali. Presto accanto a Tesei arrivò il tenente di vascello Junio Valerio Borghese. A lui, ottimo sommergibilista, toccò il compito di portare in tutta segretezza mezzi e uomini all’imbocco delle basi nemiche.
Allo scoccare del 10 giugno 1940, la fatidica “ora segnata dal destino”, il reparto era pronto all’azione. Certo, i mezzi erano ancora pochi — una cinquantina scarsa di SLC — ma sufficienti per un attacco simultaneo contro i porti nemici e infliggere un colpo durissimo agli anglo-francesi del tutto ignari della nuova arma. Nulla però si mosse. Mentre Tesei e i suoi fremevano, Mussolini — convinto, dopo il crollo della Francia, che la guerra stesse terminando con un compromesso… — optò per la difensiva su ogni fronte terrestre e marittimo. Un abbaglio fatale che chiuse per sempre l’irripetibile opportunità di scardinare l’apparato albionico nel Mediterraneo. Nel dicembre 1941 i giapponesi a Pearl Harbour — come già in Manciuria nel 1904 — non si fecero altrettanti scrupoli…
L’ordine tanto atteso arrivò solo a tardo agosto: per Tesei e i suoi destinazione Alessandria. Casualmente i britannici intercettarono la missione e tutto s’interrompe malamente. Seguirono altri tentativi contro Gibilterra e poi di nuovo Alessandria ma all’ultimo momento qualcosa andava puntualmente storto. Nessun sabotaggio, nessun tradimento — con buon pace dei discepoli di Trizzino — ma solo sfortuna e tanti problemi tecnici su mezzi ancora semiartigianali e molto “capricciosi”. Nel frattempo, come annota l’autrice, l’angosciato Tesei continuava a lavorare, progettare, addestrare. La flottiglia venne riorganizzata e potenziata affiancando ai “maiali” gli MTB, i micidiali barchini esplosivi. Un’intuizione vincente. A loro, il 26 marzo ’41, andò la prima vittoria della Decima a Creta. Sei barchini comandati da Luigi Faggioni, affondavano nella baia di Suda l’incrociatore York e una petroliera. Alla notizia l’elbano, fisicamente sfinito ma per nulla rassegnato, propose ai comandi una nuova sfida. Terribilmente impegnativa. Malta. .
Per Monna morte e il destino
Sulla carta un’idea folle. L’isola, incredibilmente risparmiata dagli italiani nell’estate ’40, era diventata la munitissima fortezza inglese sul canale di Sicilia e costituiva una minaccia costante per i nostri convogli diretti verso la Libia lungo le “rotte della morte”, un golgota marino che per tre anni inghiottì voracemente centinaia di nostre navi e migliaia di marinai e soldati. Malta andava colpita. Con forza e decisione, ad ogni costo.
Supermarina, concentrata sulla guerra d’attrito nel Mediterraneo centrale, considerava il porto di La Valletta inviolabile ma Tesei e Vittorio Moccagatta, comandante dell’unità, convinsero gli ammiragli della possibilità di un’azione combinata tra mezzi di superficie e mezzi subacquei: i “maiali” avrebbero fatto saltare le ostruzioni per aprire la via all’assalto dei barchini. Ovviamente Tesei chiese, anzi pretese di guidare il primo SLC, il compito più rischioso. Impossibile dissuaderlo.
Nella notte fatidica tutto andò storto. Da ore gli inglesi, grazie ai loro radar, avevano individuato la formazione italiana e preparavano la trappola. Poi, la Regia Aeronautica non intervenne nei modi e nei tempi previsti, il “maiale” ebbe un malfunzionamento ma Tesei, ormai in ritardo sulla tempistica, decise di lanciarsi “spolettando il siluro al minimo”. La morte certa. Allo scoppio i barchini attaccarono il porto ma vennero subito massacrati dal fuoco di sbarramento. Un muro di proiettili disintegrò uomini e mezzi. Una mattanza terribile: 18 prigionieri, 15 morti. Il corpo di Tesei e del suo secondo, Alcide Pedretti, svanirono nel nulla. “Ad incontrar Monna morte e il destino”, il refrain del canto dei sommergibilisti, mai fu più vero.
Un disastro pieno. Ma, come ben descrive Cristina Di Giorgi, anche la conferma della determinazione dei marinai italiani. A Malta l’ingegnere Teseo Tesei e i suoi fratelli d’armi vollero pagare il conto della notte di Taranto, di Capo Matapam e delle troppe sconfitte della Regia Marina. A saldare il resto della salata rimessa ci pensarono poi gli incursori di Alessandria, Gibilterra, Algeri. Gli uomini “Gamma” in Turchia. Una bella storia che ha nella caserma del Varignano, l’attuale sede del Comsubim, il suo sancta sanctorum.
Un’ultima considerazione. Il libro della Di Giorgi è prezioso. Al netto di alcuni svolazzi un po’ retorici, il lavoro aggiorna e attualizza con precisione la figura di Tesei e dei suoi camerati e offre, cosa importante, una lettura equilibrata di un momento centrale della nostra travagliata vicenda nazionale. Certo, il lettore di “Teseo Tesei, all’assalto della gloria” non troverà le analisi e gli approfondimenti certosini di Giorgieri, Rapalino, Sadovich, Bragadin, Cernuschi — gli specialisti della nostra storia navale — , ma scoprirà episodi di straordinario ingegno e incontrerà uomini di valore, italiani degni d’essere conosciuti e ricordati. Gocce di sole in questo plumbeo tempo d’immemori e sbadati. Di vili.
Cristina De Giorgi
TESEO TESI, ALL’ ASSALTO DELLA GLORIA
Idrovolante Edizioni, Roma, 2018
Ppgg. 165, euro, 14,00