Fu la distruzione totale di Tokyo, più che le bombe atomiche, a far capitolare il Giappone

9 Mar 2019 15:16 - di Antonio Pannullo

Tutto il mondo conosce la storia di Hiroshima e Nagasaki: di come gli Stati Uniti, per far finire la guerra contro un nemico che non conosceva la parola “resa”, decisero di utilizzare questa arma letale contro le popolazioni civili, inermi, e non contro i soldati od obiettivi militari, al solo scopo di costringere l’Impero a cedere. Ma pochi sanno che la vera ragione per cui l’Imperatore decise di salvare il suo popolo dallo sterminio furono i pesanti bombardamenti al napalm, ossia con le bombe incendiarie, contro la capitale Tokyo, che non fu risparmiata per motivi umanitari o di opportuntà politica dalle atomiche, come è stato, ma solo perché a Tokyo non c’era più nulla da distruggere. La “pratica” di Hiroshima e Nagasaki fu attuata dagli americnai solo per sveltire in qualche modo la decisione imperiale, peraltro già presa dopo la visita dell’imperatore Hiro Hito ai quartieri devastati della capitale.

Washington aveva capito che non avrebbe mai potuto battere i soldati giapponesi sul campo, se non a prezzo di indicibili perdite umane dall’una e dall’altra parte. Per questo, sin dal 1942, concentrò le proprie attenzioni sui civili. Nel periodo che va dall’aprile del 1942 sino al 9 marzo del 1945, circa 500 bombardieri americani scaricarono sulla capitale giapponese tonnellate e tonnellate di esplosivi che produssero circa 200mila morti e un milione di profughi, oltre ad inimmaginabili danni materiali e ambientali. Eppure questo ennesimo olocausto in Occidente oggi è sconosciuto, la storia non ne parla, i cronisti non l’hanno raccontata, al contrario di come è accaduto ad esempio per Dresda. In raltà le prime incursioni, quelli dell’aprile 1942, non ebbero un grande effetto, sia per il tipo di aerei utilizzato, i B-25 Mitchell, che avendo poca autonomia, partiti da una portarei, dovettero poi riparare un Unione Sovietica e nella Cina occupata dai giapponesi, venendo internati poi per tutta la durata del conflitto. La svolta del conflitto fu l’utilizzo delle Superfortress B-29, le cosiddette fortezze voalnti, che avevano una ampissima autonomia di volo e che nell’ultima parte della guerra potevano partire direttamente dalle Isole Marianne (e dalla primavera del 1945 a Guam), strappate ai giapponesi e molto più vicine alle coste del Giappone rispetto alla Cina. I decolli dalle Marianne consentirono agli americani di sostituire gran parte dei serbatoi con le bombe incendiarie, inoltre gli aerei furono del tutto disarmati per stivare più ordigni. Dopo alcune altre incursioni nel corso del 1944, l’anno successivo vi fu il cambio di passo: si decise per incursioni notturne a bass quota, con bombe incendiarie sui centri urbani più popolati. La prima di quest eincursioni avvenne il 3 febbraio sulla città di Kobe, e si capì che le abitazioni civili giapponesi, fatte di legno e carta, erano particolarmente vulnerabili al napalm. Così, il 23 febbraio ben 175 fortezze volanti volarono su Tokyo distruggendo una parte dlela città e il 9 e 10 marzo vi fu l’incursione devastante, ben 334 B-29 portarono l’inferno nella capitale giapponese, dove interi quartieri arsero per tutta la notte come tragiche lanterne di carta. Si calcola che in una sola notte persero la vita oltre 74mila civili. Seguirono altre 1600 incursioni nei giorni seguenti, a Tokyo e in altre quattro città. I bombardamenti indiscriminati contro i civili proseguirono incessantemente sino alle bombe atomiche e alla conseguente resa giapponese. Tutte le incursioni, come detto, causarono oltre 200mila vittime civili. Un generale americano ammise che se gli Usa avessero perso la guerra lui sarebbe stato processato come criminale. E sia un ex premier nipponico sia uno storico hanno argomentato che il vero motivo della resa non furono tanto le bombe atomiche quanto la distruzione totale di Tokyo. Ma per i vincitori, si sa, non c’è nessuna Norimberga. Solo per i vinti.

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