Imane arrivò in ospedale con una grave patologia al midollo osseo
Quando è arrivata all’Humanitas di Rozzano il 29 gennaio scorso, Imane Fadil aveva già una patologia grave e conclamata al midollo osseo ed è stata ricoverata in terapia intensiva. Secondo quanto è stato possibile ricostruire e risulta in cartella clinica, dall’équipe medica sono stati eseguiti tutti gli accertamenti del caso. I primi esami sulla giovane marocchina, che aveva chiesto di esser parte civile nel processo Ruby Ter, hanno escluso la presenza di un linfoma o di altri tumori del sangue. I medici dell’Humanitas hanno poi cercato senza riscontrare nel corpo della donna malattie autoimmuni che avrebbero potuto attaccare così gravemente il midollo e causare il repentino decadimento di altri organi vitali che poi ha portato alla morte della giovane il 1 marzo, a un mese dal ricovero.
Si attende l’esito dell’auyopsia
Prima degli esami con ‘test tossicologico su metalli’ da cui è emersa la contaminazione, che avrebbero richiesto una decina di giorni e sono stati eseguiti in un laboratorio specializzato di Pavia, anche i primi test tossicologici su Imane erano risultati negativi. Solo l’autopsia ora e l’analisi dei tessuti, che sempre secondo quanto si apprende dovrebbe essere eseguita mercoledì o giovedì, dovrebbe accertare se è stata proprio l’esposizione a sostanze radioattive a causare la sua morte. L’autopsia, ad ogni modo, avrebbe potuto essere eseguita subito, sia il giorno della morte, quando è stato disposto il sequestro di tutta la documentazione clinica e della salma, sia il 6 marzo, quando l’Humanitas ha ricevuto gli esiti tossicologici e li ha comunicati agli inquirenti.