L’aborto rimane il tabù della sinistra: guai a chiamarlo omicidio, si deve solo dire che è un “diritto”
L’aborto rimane il grande tabù della sinistra italiana, Anche oggi, a 41 anni dal varo dalla Legge 194 e a 38 dal referendum che, tale legge, confermò, non si può affermare che l’aborto è la soppressione di una vita. Le polemiche che si sono scatenate dopo l’intervento di Massimo Gandolfini al Congresso mondale delle Famiglie a Verona confermano la permanenza di questa cattiva coscienza. Le edizioni on line dei maggiori quotidiani e i siti dei laicisti arrabbiati hanno subito lanciato l’allarme: «Attaccano la 194».
Nessuno ha attaccato la 194
La virulenza della polemica è tale da costringere Salvini a rassicurare gli spiriti laici e democratici turbati dalle parole che arrivano da Verona. «Le conquiste sociali non si toccano», ha detto il ministro dell’Interno alludendo alla 194. E non ce n’era davvero bisogno, perché Gandolfini non ha detto che occorre abrogare (e nemmeno modificare) la legge che legalizza e regola l’interruzione volontaria della gravidanza. Ha solo affermato che tale legge non è stata applicata negli articoli volti a prevenire l’aborto, intervenendo sulle cause che possono indurre una donna a decidere di interrompere la gravidanza.
La cattiva coscienza della sinistra
In realtà l’aggressione al presidente del Family Day è scattata per due motivi: 1) ha detto che l’aborto è l’«uccisione di un bambino in utero»; 2) ha pronunciato queste parole “indicibili” , non tra pochi intimi, ma davanti a migliaia di persone e sotto i riflettori dei mass media. Per gli ideologi del politicamente corretto certe cose le possono dire solo il Papa e le gerarchie ecclesiastiche, ma solo perché fanno il loro “mestiere”. Un cittadino comune, laico o cattolico che sia, non le può invece dire in pubblico, meno che mai in una congresso internazionale. In Italia non si può dire ciò che disturba l’ideologia dominante, anchequando si tratta di un’ovvietà. Il fatto è che la cattiva coscienza teme innanzi tutto la verità.