Le manine che cambiano le leggi nel tragitto tra palazzo Chigi e Quirinale
Quando cadrà, il governo Conte annovererà tra i suoi primati anche le manine che cambiano le leggi tra palazzo Chigi e il Quirinale. Per poi approdare in Parlamento con testi diversi. E’ l’Italia del cambiamento, indubbiamente, con i decreti corretti strada facendo. Sia chiaro: la pratica – brutta – del “salvo intese” c’è da sempre. Ovvero, il consiglio dei ministri dà per approvato un provvedimento, appunto “salvo intese”. Che sono quelle che poi vanno messe a punto con il Quirinale o con gli stessi ministri che pure lo hanno fatto passare ma chiedono ai loro leader di rimetterci le mani. Accade nello scippo di competenze o per l’insorgenza di qualche lobby che comincia a telefonare all’impazzata. Ma il regista vero sta sempre negli uffici del Quirinale.
Quando Di Maio voleva denunciare…
Manco ci fosse Macron. Nella repubblica parlamentare ormai accade sempre così e per chi scrive non è certo una novità, avendo già vissuto queste anomale procedure. Ma l’esasperazione di questi tempi è abbastanza stravagante. Basti pensare a quanto accadde col decreto dignità e la strampalata minaccia di Luigi di Maio di rivolgersi alla procura della Repubblica per la manina che si era intromessa tra relazione e articolato del decreto. Ovviamente, qualcuno gli ha poi suggerito di evitare l’ennesima brutta figura e rinunciare a disturbare la magistratura.
Basterebbe introdurre una regola, che in realtà dovrebbe essere già codificata. Il consiglio dei ministri approva i suoi atti articolo per articolo, con tanto di verbale. Perché il tanto decantato vaglio del Quirinale sulle proposte di legge del governo deve essere precedente e non successivo alla decisione del Consiglio dei ministri. Altrimenti vorrebbe dire che siamo già nel regime presidenzialista. Ma ahimè non è ancora così. E sui decreti-legge è proprio la Costituzione a dire che il è proprio il governo che “adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge” e deve “il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere”. Proprio il decreto dignità viaggiò per palazzi dal 2 al 13 luglio prima della pubblicazione in Gazzetta ufficiale.
Le slide al posto del verbale
Eppure un testo dovrebbe essere proposto da qualcuno; esaminato in una riunione cosiddetta di Pre-Consiglio; esposto dal ministro che lo presenta al governo; discusso dai ministri; approvato con tanto di verbale. E conosciuto alla pubblica opinione. E se il Capo dello Stato, se sollecita modifiche, lo deve fare in maniera trasparente. Chissà se questa rivoluzione si compirà mai.
Ci tocca invece convivere con comunicati stampa che rendono impossibile capire se ci sono trappole nel provvedimento; slide che illudono e poi deludono sugli effetti delle norme; bozze ad uso e consumo dei gonzi che ci cascano.
Se un’associazione modifica il proprio statuto, anche la più piccola variazione deve vedere il sigillo del notaio; i segretari comunali presidiano le singole delibere nei palazzi municipali; invece, la funzione più alta di governo è ancora appesa a quel “salvo intese” che rende impossibile una valutazione concreta, trasparente, immediata di quel che interviene nell’ordinamento della Nazione dal Consiglio dei ministri.
Sì, ci vuole una rivoluzione. Non serve sparare, basta mettere a verbale…
Fratelli D’Italia raccolga le firme tra deputati e senatori e proponga che per legge i provvedimenti definitivi – quelli che si pubblicano – sono emessi nella versione approvata dal consiglio dei ministri comprensiva dei rilievi proposti dalla Presidenza della Repubblica e condivisi dal Consiglio dei ministri
Potrebbe essere una buona idea da articolare seriamente