Mafia Capitale aspetta la Cassazione. In carcere per lavoro, il teorema Pignatone
Sommersi dalle carte. La sentenza di primo grado. Quella d’appello. I ricorsi in Cassazione. Mafia capitale, è stata fatta giustizia per davvero?
La lettura degli atti del processo serve a tentare di capire che diamine è successo a Roma. Chi erano i temutissimi uomini delle cosche. E su che cosa sarà chiamata a decidere la Cassazione di qui a qualche tempo.
Si è letteralmente romanzato su Buzzi e Carminati, che in appello si sono visti affibbiare l’appellativo di mafioso per sentenza. E poi, tutti gli altri. Perfino – nel caso della 29 giugno – alcuni di quelli che lavoravano come dipendenti nella cooperativa. L’idea del teorema costruito frulla nella testa, il che non significa certo insolentire né chi indaga né chi giudica. Ma è legittimo chiedersi se gli elementi di prova raccolti siano effettivamente tali.
Un libro dei magistrati durante il processo…
Pignatone, procuratore capo a Roma e promotore dell’inchiesta, scrive anche un libro assieme al suo collega Prestipino. Scelta deontologicamente giusta, mentre il processo arriva al terzo grado di giudizio? Un testo che parte dai luoghi del sud dove le mafie prosperano fino a Roma. Ed emerge, si legge, una serie di collegamenti dal 2008. “Mafia capitale, per opera di Carminati e Buzzi, entra in rapporto con i Mancuso – potente famiglia di ’ndrangheta del Vibonese – che sul proprio territorio «accredita» due dipendenti della Cooperativa 29 giugno facente capo a Buzzi, i quali presso un centro sito a Cropani Marina gestiscono, sotto la protezione degli stessi Mancuso, una nuova attività nel settore dell’accoglienza di cittadini extracomunitari (240 immigrati per un introito complessivo di 1.300.000 euro)”.
Ma Carminati e Buzzi – ci viene fatto notare – si incontrano nel 2012, Rotolo e Ruggiero (i 2 soci 29 Giugno a cui si fa riferimento) sono assolti in 1° e 2° grado dalle accuse e tra l’altro il primo conobbe la 29 Giugno nel 2012 e l’altro nel 2008 non poteva lasciare Roma e il suo carcere. Lo scrive la sentenza di primo grado, dove l’associazione mafiosa fu negata dalla magistratura giudicante: “Ma l’interessamento di Rotolo e Ruggiero presso i Mancuso andrebbe comunque datato all’anno 2008, quando ancora Buzzi non era entrato in relazione con Carminati (che non intratteneva rapporti con esponenti della ‘ndrangheta operante a Limbadi, non essendovi in tal senso alcuna emergenza) e, soprattutto, non si profilava alcuna associazione criminale interessata ad operare nella città di Roma, per gli affari in seguito svelati dalle investigazioni”.
“Presunti colpevoli”: sono persone
E’ solo un esempio fra i tanti. E che spiega perché ci sono imputati condannati che si stanno mobilitando per raccontare alla pubblica opinione le ragioni della loro affermazione di innocenza. Ci sono persone che rischiano di tornare in carcere solo per aver lavorato con Buzzi. Mentre loro colleghi della stessa cooperativa invece sono stati assolti nonostante i convincimenti su Mafia capitale che Pignatone ha messo in mostra nel suo libro.
Questo processo va seguito ancora con grande attenzione. Anche perché viene da un’inchiesta che ha sconvolto la Capitale e non solo. A fine mese se ne occuperanno i radicali. C’è un comitato – si sono chiamati antimafia e stanno anche su Facebook – promosso da “presunti colpevoli“. Non hanno la coppola, non sono colletti bianchi. Sono persone. Hanno comunque diritto all’ascolto. Molte di quelle carte processuali sembrano parole che non si vogliono sentire.
finalmente una voce fuori dal coro di un’omertà già di per se preoccupante di una stampa abituata solo a lusingare i potenti di turno