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Mettere la storia tra parentesi è un’illusione. E Mussolini lo dimostra

Mettere la storia tra parentesi è un’illusione. E Mussolini lo dimostra

Politica - di Mario Landolfi - 6 Marzo 2019 - AGGIORNATO 6 Marzo 2019 alle 17:20

Resistiamo al vizietto della parentesi. Rifuggiamo per una volta dalla specialità che in Italia conta più aficionados di JR ai tempi di Dallas. Non per caso, visto che il primo a teorizzare la storia tra parentesi fu Benedetto Croce, che vi parcheggiò addirittura il fascismo, da lui derubricato a mero incidente politico tra la monarchia liberale del primo dopoguerra e la repubblica democratica generata dal secondo. Una parentesi, appunto. Quanto strampalata fosse la tesi del filosofo lo dimostra, se non altro, la frequenza con cui il termine fascista è ancora usato (a sproposito) tutti i giorni in tutto il mondo.

Ma la sua conclamata fallacia non ha impedito a molti di coltivarla e di innaffiarla ogni giorno, soprattutto quando quel che accade non piace alla gente che piace o quando la stessa gente di cui prima non riesce ad arpionarlo culturalmente per appropriarsene politicamente. E questo spiega perché la nostra storia più recente è soprattutto un cimitero di parentesi: oltre al Duce, ci sono Craxi (parentesi tra socialismo perdente e socialismo ammanettato), il “picconatore” Cossiga (parentesi tra Quirinale notaio e  arbitro schierato) e a breve arriveranno Renzi (parentesi tra Bersani e Zingaretti), Berlusconi (parentesi tra Mamma Rai e Mammì Fininvest) e l’intero M5S (parentesi tra il bipolarismo di ieri e quello di domani). Dall’effetto parentesi sembra salvarsi solo Salvini, ma solo perché, per la gente che piace, sdoganare uno come Bossi equivale a un tuffo carpiato in una piscina vuota. Insomma, la nostra storia è un eterno gioco dell’oca: avanti e indietro con un lancio di dadi.

Sarà per questo, azzardava Cossiga, che da noi non si completa mai niente: il Risorgimento è incompiuto la Vittoria è mutilata, la Resistenza è tradita e la transizione è infinita. In una storia così, la parentesi ci vuole. Esattamente come in una prosa divenuta prolissa e involuta. Ben lo sapevano Totò e Peppino, nei panni dei fratelli Caponi, alle prese con la mitica lettera alla malafemmina: «Hai aperto la parente, sì? Chiudila». La differenza con la gag è che in politica la parente non si chiude mai. 

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C'è un commento:

  1. Fabiano Cirelli ha detto:

    Una ” parentesi ” di riflessione attenta che ho letto con gran soddisfazione. Grazie Mario.Ti seguo sul nostro giornale.

di Mario Landolfi - 6 Marzo 2019