Siri “confessa”. Ma solo che il premier Conte non lo ha nemmeno cercato…
Quello che non si capisce, di questa storia del sottosegretario Siri, è il motivo per cui Salvini punta ad infilare la propria testa nel frullatore. Gli schizzi di fango dureranno per tutta la campagna elettorale, l’accusa di corruzione per un membro di governo non è compatibile con i tempi della battaglia voto su voto. Se resta là, uscirà un’intercettazione al giorno a triturarlo. Raggi a parte. Almeno fino a che non risulterà indagata pure lei.
Anche perché nessuno capisce che cosa sta succedendo. Proprio Siri, candido candido, ha confidato all’Ansa che il presidente del Consiglio – che si mostrava accigliato e pretendeva un chiarimento – manco l’ha chiamato.
“Il presidente del Consiglio non l’ho sentito, io sono sempre a disposizione, con il cellulare acceso, ma allo stato non ci sono state richieste di incontri o di colloqui….”. Così, ha infatti risposto Siri alla domanda se abbia parlato in queste ore con il premier Giuseppe Conte che aveva rimarcato la necessità di un “chiarimento” da parte dell’esponente leghista.
“Ora richieste di incontri in agenda non ne ho ma se ci saranno sarò ben lieto di aderire a queste richieste”, continua Siri . “L’agenda di questi giorni è legata alla pausa di Pasqua“, dice ancora il sottosegretario che passerà in famiglia queste festività. Pare un manicomio.
Eppure a Salvini e a Siri non conviene andare avanti con la resistenza alla poltrona di sottosegretario. E tentiamo di spiegare perché.
Quel poco di carte che siamo riusciti ad adocchiare parlano di una mazzetta da trentamila euro per lo sviluppo dell’eolico. Tramite un ex parlamentare azzurro l’imprenditore siciliano Nicastri ha tentato di corrompere Siri. Ma non c’è traccia di provvedimenti di favore nel Def, dove doveva annidarsi l’affare.
Riflettere seriamente
Se l’olfatto funziona – ma in tribunale non basta – Siri potrebbe anche risultare innocente. Ma non sufficiente, ahinoi, per restare al suo posto. E poco conta che lo dica Di Maio, che ha riscoperto le virtù morali alla vigilia delle europee. Indossa i guantoni da boxe e torna forcaiolo ora con Siri e ha taciuto per convenienza sulla Raggi e per necessità sul caso Salvini-Diciotti e sulla favola dei 49 milioni. E ha ragione Salvini a scansarli.
Ma deve riflettere seriamente sul da farsi, il capo della Lega. Anche perché in questa vicenda emergono addirittura legami tra Nicastri e l’imprendibile boss Matteo Messina Denaro. E la pelle di Siri non è certo più importante del prestigio del ministro dell’interno. Salvini deve convincere il sottosegretario, anche se appare ingiusto, a farsi da parte.
Lo scalpo della prescrizione
Dice Salvini, e potrebbe anche essere ragionevole: «Mi auguro che i giudici decidano rapidamente». Ma, benedett’uomo, come fai a sostenere una cosa del genere quando hai appena regalato ai grillini lo scalpo della prescrizione? Lo vedi dalle loro reazioni. Fine pena mai una volta era l’ergastolo, ora ci diventa la durata del processo che da solo rappresenta la condanna già espiata da un esponente politico.
Fai attenzione, Matteo, che questa brutta storia ti può essere fatale. E anche a Siri. Perché una politica così debole come l’attuale non ha alcuna forza per dire basta a certo strapotere, se questo fosse il caso. Proprio perché il governo ha abdicato alle pretese dei magistrati contro la prescrizione, vi costringeranno ad arrendervi con le mani in alto. Gli basta far uscire proprio un’intercettazione al giorno.