XXIV maggio, Piave e Isonzo sono Italia. Nessuno può regalarli all’Europa
“Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio…”. L’abbiamo imparata da bambini, cantata a scuola (con i maestri d’una volta) e ci sovviene ad ogni anniversario.
Fu scritta da un geniale ufficiale postale di Napoli, di umili origini ed autodidatta, Giovanni Gaeta che firmò la “canzone del Piave” con lo pseudonimo E. A. Mario.
“Fiume sacro alla Patria”
E’ l’aria che ancora accompagna, assieme all’anno di Mameli, ogni cerimonia militare all’atto dell’omaggio ai Caduti.
Ebbene, ogni ponte sul Piave, come ogni ponte sull’Isonzo (il fiume delle dodici battaglie che costarono la gran parte dei 600.000 Caduti della Grande Guerra) da allora riportava all’ingresso una scritta: “Fiume sacro alla Patria”.
Da qualche tempo le amministrazioni di sinistra, quelle che mal sopportano lo spirito nazionale e si beano nella retorica pacifista, tutta convegni sull’”inutile strage”, hanno ben pensato di utilizzare l’Europa (ma guarda un po’) per cancellare il riferimento alla Patria.
Europa senza radici
Il cartello che riproduciamo nella foto è quello apposto sul ponte sull’Isonzo tra Sagrado e Gradisca, a qualche chilometro da Redipuglia, col suo sacrario dei centomila Caduti: l’Isonzo è diventato “fiume sacro ai popoli d’Europa” (e chi l’ha stabilito? perché? a chi l’hanno chiesto…?) ed è scomparsa la dicitura “fiume sacro alla Patria”.
Qualcuno però ci ha pensato a ripristinare l’originaria, ma sappiamo che durerà quel che durerà.
Il fatto va segnalato perché non è banale come a molti potrebbe sembrare: è invece sintomatico e va a segnare uno dei tanti capitoli di una battaglia che non finisce mai: quella di chi vuole conservare i simboli, i valori, lo spirito, l’identità nazionale, l’amor di Patria, contro chi invece tutti ciò nega, nel nome di un internazionalismo falso, di un pensiero unico deteriore, che ci vuol rendere un popolo senza storia e senza dignità, figli di un’Europa senza radici, senza croci, senza memoria, transnazionale e magari transessuale…
Ma non sarà il nostro destino.
Menia, noto con piacere di nuovo la sua presenza. Quanto da lei sottolieato è più che giusto ma ora è venuto il momento di declinare questi suoi concetti in modo tale da attualizzarli ai tempi che stiamo vivendo e che andremo a vivere d’ora in poi in modo tale di “fare gli italiani” non chiusi in se stessi ma cosci della propria storia più che bimillenaria pronti ad affrontare in modo positivo i grandi cambiamenti che sono avvenuti e che avverranno inesorabilmente mentre tutti gli altri, ormai del tutto asserviti a cause sbagliate in modo servile e prono continueranno a organizzare convegni su convegni fatti soltanto del nulla eterno e del vuoto pneumatico dopo gli immancabili “momenti di riflessione” il cui significato è “non ci stiamo capendo un pòiffero” da dare in pasto ai meno dotati intellettualmente e culturalmente per continuare a gabbarli in modo vergognoso e delinquenziale. Un cordiale saluto..